Autore: admin

  • E’ arrivato il momento di cambiare le gomme?

    Prima o poi arriva il momento per chi ha un’automobile di cambiare i pneumatici del proprio mezzo, vuoi perchè talmente consumate da non passare la revisione, vuoi per una foratura o perchè consigliato dal meccanico, una cosa è certa: bisognerà mettere mano al portafoglio.

    Ma è possibile risparmiare qualcosa? La risposta è SI, ma sempre tenendo a mente che i pneumatici sono l’interfaccia della nostra auto col terreno, quindi una scelta sbagliata può minare la sicurezza, sopratutto sul bagnato oltre a durare meno o essere più rumorosa di una gomma concorrente.

    Innanzitutto il risparmio presuppone un pò di conoscenza e sopratutto non avere urgenza, come nel caso di una foratura lontana di casa dove ci si dovrà affidare alle soluzioni proposte da un gommista che probabilmente non conosciamo, che anche dando per scontato che sia onesto, potrebbe avere una scelta di soluzioni limitata e/o poco conveniente per le nostre esigenze.

    Se invece non si è con l’acqua alla gola, si ha il tempo di farsi fare qualche preventivo, informarsi dell’affidabilità del gommista, della qualità dei prodotti e pure di rivolgersi a internet o ai volantini degli ipermercati per trovare eventuali offerte.

    Il problema è , per chi non è del settore, capire se il prodotto che ci è stato proposto faccia al caso nostro , sia compatibile con la nostra auto, sia di qualità e sia effettivamente conveniente.

    Se ci rivolgiamo a un gommista sicuramente non avremo dubbi sulla compatibilità con la nostra auto, ma quanto a convenienza e, sopratutto se chiediamo la soluzione più economica, a qualità non è detto che sia la soluzione migliore, anche se va valutato caso per caso.

    Ovviamente per poter confrontare una gomma con una concorrente, avremo bisogno di alcune piccole nozioni tecniche e alcuni parametri di valutazione.

    Innanzitutto, specie se ci si rivolge a internet o ai volantini dei supermercati, bisogna individuare la tipologia (estivo, invernale o 4 stagioni) e la misura dei pneumatici adatti alla nostra auto. Questa la si trova stampigliata nel fianco del pneumatico attualmente montato, ed è una sigla del tipo 195/55 R 15 91V che dovrà essere identica sul nuovo pneumatico per essere sicuri che possa essere montata senza problemi.

    Dicevamo del codice del nostro esempio 195/55 R 15 91V , 195 identifica la larghezza in millimetri della gomma, 55 il rapporto percentuale tra altezza e larghezza (in pratica identifica la spalla del pneumatico, piu è basso il numero e più è bassa la spalla) , R 15 il diametro in pollici, 91 l’indice di carico (il peso che può sopportare il pneumatico) e V il codice di velocità (una lettera maggiore identifica la possibilità del pneumatico di sopportare maggiori velocità).

    In realtà è possibile montare pneumatici differenti da quelli montati in precedenza, ma si dovranno rispettare alcune limitazioni: innanzi tutto le misure di pneumatici ammesse per la macchina sono indicate nel libretto di circolazione, quindi la misura delle nuove gomme deve essere necessariamente presente a libretto (sono ammesse alcune deroghe sull’indice di velocità che può essere superiore a quello indicato a libretto, e solo nel caso di gomme invernale è tollerato un’indice di velocità inferiore a condizione di non superare la velocità massima consentita dal pneumatico), e sopratutto dovranno essere compatibili con il cerchio preesistente se non si vuole essere costretti a cambiare i cerchi con altri di differente misura, problema che non si ha mettendo un pneumatico della stessa misura del precedente.

    Ma perchè cambiare misura delle gomme? In realtà le motivazioni sono diverse: per ragioni estetiche (un cerchio più grande e quindi una gomma più grande e con la spalla più bassa è più bello da vedere), per ottimizzare comfort e consumi (una gomma più piccola e quindi con una spalla più alta è piu confortevole nella guida e farà consumare la macchina di meno) ed economici: le misure di gomme più diffuse, quindi montate sul maggior numero di auto, costano meno di gomme con misure meno comuni, dove è minore la concorrenza tra i produttori e la loro reperibilità e quindi i prezzi sono più alti.

    Dicevamo per trovare gomme più economiche, oltre che fare il giro dei gommisti della zona (quelli più grandi e quelli affiliati a qualche catena tendenzialmente avendo più giro dovrebbero avere prezzi migliori, a volte migliori di quelli internet, anche se non è la regola) , si può verificare se nei supermercati le gomme della nostra misura sono in offerta (spesso lo sono nelle misure più comuni nei periodi dell’anno dove vengono messi in promozione a volantino gli accessori per auto) e sui numerosi siti internet che vendono pneumatici online, facendo attenzione a selezionare la misura corretta, e sopratutto scegliendo un sito affidabile.

    Se si acquistano le gomme al supermercato o su internet va considerato il montaggio: generalmente i siti web specializzati in pneumatici e i supermercati hanno uno o più gommisti convenzionati per il montaggio, e a volte il prezzo del servizio è già incluso nel prezzo dei pneumatici o comunque viene effettuato a un prezzo di favore, anche se è possibile che il gommista vi chiederà degli extra per la sostituzione delle valvole o per la convergenza, qualora necessario. Se invece non c’è una convenzione è possibile accordarsi con un qualsiasi gommista per il montaggio, magari cercando chi ci fà il prezzo migliore, tenuto conto non tutti i gommisti accettano di montare gomme non acquistate da loro.

    In fase di confronto, specie sui siti web, a parità di prodotto va verificato se il montaggio è compreso o meno, e se no quale è il prezzo richiesto dal gommista convenzionato, e i costi di spedizione, che può avvenire direttamente dal gommista evitandoci di doverle caricare in auto per farcele montare, facendo attenzione al fatto che la spedizione gratuita sbandierata in molti siti non è sempre valida per tutti gli acquisti (ad esempio se si acquista una sola gomma o se si spedisce verso sud italia, isole o località remote quasi sempre non è compresa).

    Ma dato che il prezzo non è l’unica discriminante nella scelta come è possibile scegliere e confrontare la qualità di una gomma? Sicuramente la notorietà di una marca è un buon inizio: tendenzialmente una gomma di un marchio famoso dovrebbe essere migliore , almeno sulla carta, di uno mai sentito, magari di provenienza cinese: se ci troviamo a scegliere tra due opzioni, magari in emergenza, col marchio famoso si è più tranquilli di non aver preso una fregatura.

    In realtà non sempre è cosi perchè ci sono marchi meno noti che producono gomme di buona qualità, che magari si sono affacciati recentemente sul mercato e fanno prezzi migliori per farsi conoscere, ma come riuscire a farsi un’idea senza essere esperti del settore?

    Fortunatamente ci viene in aiuto la comunità europea che ha previsto una etichetta obbligatoria per la comparazione dei pneumatici, simile a quella per il confronto degli elettrodomestici , dove una lettera da A (la migliore) a G (la peggiore) ci permette di confrontare efficienza nei consumi e aderenza sul bagnato, oltre a indicare la rumorosità di rotolamento in decibel (minore il valore è più sarà silenzioso il pneumatico).

    Ovviamente questa etichetta , anche perchè si basa su una autocertificazione dei produttori, non è un riferimento assoluto: non necessariamente una gomma C è necessariamente molto peggiore di una con la lettera B , ma sicuramente una gomma A è molto migliore di una marchiata G. Considerato che i parametri da confrontare sono 3 (consumi, aderenza, rumorosità) e non uno solo come per gli elettrodomestici, può capitare che una gomma nella media (B o C) su tutti e tre i parametri può essere considerata migliore di un’altra che eccelle in uno ed è molto carente negli altri due.

    Ad ogni modo potendo confrontare più offerte si possono scegliere gomme migliori a parità di prezzo, evitando di prendere per questioni di budget limitato il prodotto più economico proposto dal primo gommista, che potrebbe rivelarsi di qualità particolarmente scarsa e magari offerto allo stesso prezzo di gomme ben superiori reperibili altrove.

  • Come rubare un’automobile

    Come rubare un’automobile

    Rubare un’automobile al giorno d’oggi è una cosa relativamente semplice, meno complessa di quello che si pensi, quello che sono cambiate rispetto al passato sono le competenze tecniche necessarie: se prima erano necessarie doti meccaniche, ora servono competenze elettroniche, al pari di quello che succede nelle officine per le riparazioni.

    Infatti è l’elettronica la chiave di tutto, se all’inizio la complessità di bus e centraline faceva si che rubare le auto fosse diventata un’attività complessa alla portata di pochi esperti, ora con la diffusione della conoscenza e il calo dei prezzi delle attrezzature necessarie , rubare un’auto è diventata una cosa alla portata di molti, specie se si ha familiarità con le nuove tecnologie.

    Un tempo infatti per accedere all’auto era necessario scassinare serrature e/o rompere i vetri per accedere all’auto, col rischio di dare nell’occhio, ora non è più strettamente necessario: per aprire un’auto senza dover mettere mano ad uno spadino basta una ricetrasmittente dal costo di poche decine di euro: impostando la giusta frequenza si va a disturbare il segnale del telecomando dell’auto non consentendo la chiusura delle porte, a quel punto se il legittimo proprietario non si è sincerato della effettiva chiusura  a distanza delle serrature, basterà aprire la porta non appena il malcapitato si sarà allontanato dalla propria auto, consentendo il furto di effetti personali e bagagli.

    Questa tattica è un classico degli autogrill dove la gente in viaggio ha probabilmente in valigia effetti personali preziosi che possono essere trafugati nel tempo di un caffè o di una sosta al bagno. Ovviamente una volta dentro l’auto, se l’obbiettivo è l’auto stessa e non qualcosa contenuta , come bagagli o anche apparecchiature elettroniche come autoradio, sistemi di navigazione o i costosissimi fari a led, servirà un po più di tecnica per avviarla e portarla via.

    Uno dei problemi è infatti l’antifurto satellitare che molte auto montano, diventato molto comune perchè consente la riduzione del premio assicurativo, che trasmette le coordinate GPS con la posizione dell’auto tramite una sim-card come quelle dei telefonini, quando la centralina rileva un’anomalia nell’utilizzo dell’auto, quale un tentativo di furto. Molte di queste centraline sono talmente economiche che sono facili da disattivare o ingannare e delle volte non sono in grado di rilevare il tentativo di furto, ma anche le migliori sono facilmente bypassabili con un apparecchio che scherma il segnale GPS e telefonico , da inserire nell’accendisigari dell’auto, dal costo di un paio di euro.

    L’altro problema è avviare l’auto: se la macchina è  una di quelle che si avvia a pulsante senza blocchetto d’accensione è un gioco da ragazzi: ci si procura una centralina modificata specifica per il modello di auto che si vuole rubare e la si sostituisce a quella originale e si avvierà l’auto con la chiave abbinata alla nostra centralina modificata.

    Se la macchina ha il blocchetto di accensione e/o qualche antifurto meccanico potrà essere necessaria qualche vecchia dote da scassinatore, ma non è sempre così: alcune automobili si avviano anche con un comando dalla porta OBD, quella porta utilizzata dai meccanici per interagire con la centralina dell’auto in fase di riparazione, bypassando il blocchetto di accensione.

    Alcune macchine però hanno sistemi antifurto elettronici più complessi e più difficili da bypassare, ma anche li esistono delle adeguate soluzioni, seppure un po’ più costose: ad esempio se la macchina ha il telecomando di tipo keyless go, di quelli che aprono la macchina se si ha la chiave in tasca e la richiudono quando ci si allontana: se sia ha la possibilità di avvicinarci alla chiave originale, magari se è in casa del malcapitato , ancor meglio se nel muro esterno, o ci si può avvicinare con una scusa (magari un’intervista, un sondaggio, una richiesta di donazione o elemosina, etc.) alla persona che ha con se la chiave, basta un trasmettitore nei pressi della chiave e un complice con un’adeguato ricevitore nei pressi dell’auto, che potrà cosi aprire l’auto, metterla in moto e duplicare il codice della chiave sempre tramite la porta OBD di cui parlavamo poche righe sopra per poterla riavviare quando allontanati dalla chiave originale.

    Ovviamente esistono anche altri sistemi più o meno complessi che servono a bypassare le varie contromisure, ma si sa che vige il detto che fatta la legge trovato l’ingannno, anche se una adeguata contromisura , specie se meccanica , fa perdere tempo prezioso al ladro, che quindi potrebbe desistere e/o riservare le sue attenzioni su una differente preda.

    Il succo del discorso però è che se qualcuno vuole rubare proprio quella macchina troverà il modo di farlo, anche a costo di caricarla su un carroattrezzi o su un rimorchio schermato per farla sparire come si fà per le auto di super lusso, oppure quello di simulare un danno o un piccolo incidente all’auto in marcia dove il malcapitato scenderà per verificare cosa sia successo, e se nella concitazione avrà lasciato le chiavi nel quadro sarà facile mettersi alla guida e rubarla.

    Quindi il consiglio per evitare di farsela rubare è cercare di evitare atteggiamenti sbadati, come non verificare la effettiva chiusura delle portiere o lasciare le chiavi nel quadro quando si scende dall’auto, e cercare di attuare delle contromisure, anche se più o meno blande: dall’antifurto satellitare, al blocca pedali meccanico, alla blindatura della porta OBD  e della centralina dell’auto, al blocco meccanico con chiave del piantone dello sterzo, alla modifica personalizzata dell’accensione: tutta roba che come detto fà perdere tempo al ladro, aumentando il rischio di essere scoperti.

    Un’altra soluzione, che non risolve al 100% il problema è una polizza assicurativa contro il furto, che però generalmente non ripaga dell’intero valore della vettura, e che spesso non copre in determinate situazioni come il furto in aree private come garage o cortili condominiali, e a seconda delle polizze non copre il furto parziale (come quello di impianti audio, navigatori e luci) o danneggiamenti in caso di tentato furto o che comunque ha delle franchigie che non coprono l’intero danno: anche le polizze quindi vanno scelte con cura, verificando per bene cosa è coperto e cosa no, magari preferendo a quella più economica, quella con le maggiori garanzie.

  • Windows e Microsoft Office legali per meno di 10 euro

    Windows e Microsoft Office legali per meno di 10 euro

    Non è un titolo acchiappaclic, in realtà è possibile ottenere delle licenze legali dei piu diffusi software della Microsoft, come il quasi indispensabile Office o il sistema operativo Windows10 per pochi spiccioli , anche per meno di 10 euro.

    Si tratta di copie digitali o ESD (Electronic Software Delivery), quindi senza supporti fisici come cd o dvd, che vanno scaricate dal sito ufficiale della Microsoft inserendo il codice Product Key fornito dal venditore dal quale si acquista la licenza.

    Ma se il prezzo di listino di questi software a seconda delle versioni si aggira tra i 150 e i 600 euro come è possibile che costino cosi poco  e siano legali?

    In realtà la questione è un pò controversa perchè si tratta di licenze formalmente usate, spesso acquistate in origine in sovranumero da grosse organizzazioni per ottenere maggiori scontistiche o che provengono da computer dismessi e che poi vengono rivendute al pubblico.

    Dal punto di vista tecnico la licenza è pienamente valida, a maggior ragione perchè il software viene scaricato direttamente dal sito del produttore inserendo l’apposito codice product key, che se non fosse valido non permetterebbe il download.

    white and black compact discs

    Dal punto di vista legale ci sono alcune perplessità dovute al fatto che nelle licenze di Microsoft è esclusa la possibilità di rivendita della licenza usata, ma in Europa una sentenza della corte di giustizia europea ne consente la vendita superando i termini della licenza (EULA) stessa, quindi diciamo che a seconda delle interpretazioni delle normative può essere vista come una cosa legale, magari un pò border-line o illegale.

    Diciamo che per un uso domestico dei software , usare le licenze ESD è una soluzione che permette di avere dei software regolari per pochi euro senza dover ricorrere alla pirateria, e quindi esponendosi al rischio di virus e altri problemi di sicurezza informatica nel tentativo di bypassare le protezioni anti-pirateria dei software, e ottenere in quanto licenze ufficiali tutti gli eventuali aggiornamenti, anche di sicurezza, del programma.

    Per l’uso dei software in ambiente lavorativo diciamo che il rischio di interpretare a nostro sfavore la normativa rischiando delle multe per pirateria potrebbe rendere più conveniente l’acquisto di una licenza dai canali ufficiali, specie quando quel software si ripaga da solo col nostro giro di affari , ma in ogni caso la licenza ESD non è illegale, ma va ben documentata, specie nella sua provenienza lecita, in caso di controlli, quindi una possibile scocciatura che magari non vale quelle poche centinaia di euro di risparmio che invece contano in maniera più pesante in ambito domestico, dove tralaltro è difficile che ci siano controlli.

    Per avere una sicurezza in più ,specie in ambito business in caso di controlli, sarebbe preferibile avere della documentazione della vita precedente della licenza usata, in modo da escludere che l’origine della licenza non fosse oggetto di furto o soggetta a vincoli di utilizzo specifico (ad esempio educational o per sviluppatori) per i quali potremmo essere fuori licenza.

    Esistono anche delle società specializzate in relicencing che acquistano a volume grosse quantità di licenze che poi spacchettano in singole licenze consegnando accurata documentazione e supporto necessario garantendo maggiore sicurezza in ambito business, specie in caso di controlli, ovviamente a prezzi un po piu alti di quelli che invece un privato, che ha meno preoccupazioni legali, può trovare in rete al minore prezzo possibile.

    Ma come reperire queste licenze? E’ piu facile di quanto si creda, basta andare su Ebay, talvolta sul marketplace di Amazon o nei siti di vendita di copie digitali di videogames come G2A o Gamivo, e cercare il nome e la versione del software seguito dal codice ESD (per esempio Windows 10 Professional ESD o Microsoft Office 2019 Professional ESD) e  ordinare per prezzo, scegliendo quello che , una volta verificata l’affidabilità del venditore tramite il feedback, ha il prezzo minore, facendo attenzione che versione e lingua siano quelle desiderate.

    Si troveranno le versioni dei software più equipaggiate come le Professional a prezzi che a seconda dei casi, del venditore e del momento oscillano tra i 5 e i 20-30 euro, ragione per cui è meglio puntare alle versioni migliori e con la licenza perpetua (evitando quindi le versioni 365 la cui licenza dura un’anno), dato che il prezzo di quelle base ha prezzi molto simili, e la differenza di pochi euro non giustifica la scelta della versione base; addirittura può capitare che la versione base, meno diffusa, costi più di quella full-optional.

    Una volta effettuato il pagamento generalmente nel giro di qualche minuto, alla peggio entro 24/48 ore, si riceve sulla mail il codice product key ed il link al sito Microsoft dove scaricare il nostro software, che potremmo installare direttamente sul nostro PC , mettere su una chiavetta USB o masterizzare su un supporto fisico.

    Quello a cui stare attenti è l’affidabilità del venditore in caso di problemi: se la licenza non dove essere funzionante si deve essere sicuri che il venditore risponda e nel caso ce la sostituisca o ci rimborsi, pertanto è preferibile pagare con PayPal , che ci tutela in caso di truffe, anche perchè per queste licenze, non essendo direttamente supportate da Microsoft, in caso di problemi occorre necessariamente rivolgersi al venditore.

  • La friggitrice ad aria, questa sconosciuta…

    La friggitrice ad aria, questa sconosciuta…

    Spesso si sente parlare delle friggitrici ad aria o airfryer, le famose friggitrici che cucinano senza olio, ma se non si è avuto modo di averne una per le mani pare essere un qualcosa di strano e inutile e dagli incerti risultati gastronomici, ma in realtà non è cosi e generalmente chi l’ha acquista difficilmente si pente dell’acquisto.

    Innanzitutto capiamo cosa sono e come funzionano: si tratta di una sorta di forno elettrico ventilato di piccole dimensioni, con un cestello estraibile, generalmente in materiale antiaderente, dove inserire le pietanze da “friggere” e che ci permettono di avere i nostri cibi pronti  in 10/20 minuti ,a seconda delle quantità e della tipologia di alimento, senza odori , evitando di usare litri di olio per la preparazione, cosa che rende i cibi più leggeri e meno calorici rispetto a una frittura tradizionale.

    La sua particolarità è proprio che che i cibi non vanno a bagno d’olio, cosa che tecnicamente non la definisce come una vera “friggitrice”, dato che la cottura dipende dall’aria calda prodotta da una resistenza e diffusa tramite una ventola.

    Questo tipo di cottura fà si che gli alimenti assorbano molto meno olio, rendendoli più leggeri e salutari, ma attenzione molto meno olio non significa zero olio, perchè in realtà l’olio , seppure in minima quantità, è presente nei cibi surgelati come patatine fritte, spinacine, sofficini e simili , che sono gli alimenti ideali per questo tipo di apparecchio, mentre per gli alimenti freschi è necessario ungere i prodotti prima della cottura.

    Ed eccolo qui il segreto: l’olio, seppure in quantità molto inferiore c’è anche nelle friggitrici ad aria, ed è quello che rende croccanti i nostri fritti, ma con il vantaggio che non sarà necessario usarne litri, con risparmio sul portafoglio e sulla salute dato che sulla friggitrice tradizionale viene riutilizzato più volte rendendolo sconsigliabile per la salute specie se si esagera con il suo riutilizzo.

    C’è da dire che il risultato finale non è esattamente lo stesso di una friggitrice tradizionale, ma sopratutto su alcuni cibi ci si avvicina parecchio , ad esempio le patatine fritte surgelate, col vantaggio di avere un cibo più salutare, meno calorico e sopratutto cucinato senza odori e vapori che avremmo avuto utilizzando una friggitrice elettrica tradizionale, mentre per qualche altro cibo il risultato è più simile ad una cottura al forno più che a una frittura, ma comunque più che accettabile.

    Qualche piccolo accorgimento ovviamente è necessario per questa tipologia di cottura , come girare sotto sopra, almeno una volta durante la cottura, gli alimenti per fare in modo che si formi la crosticina croccante tipica dei fritti;  a seconda del tipo di alimento da cuocere bisogna preriscaldare la friggitrice per qualche minuto prima di inserire i cibi, e sopratutto ungere con olio i prodotti freschi che si vuole cucinare, ma nulla di particolarmente complicato, specie quanto si prende l’abitudine.

    Inoltre il fatto che sostanzialmente si tratta di una sorta di forno elettrico, fa sì che ci siano altri usi oltre alla “frittura”, potendola utilizzare compatibilmente con le ridotte dimensioni del cestello anche per la cottura dei cibi, come il pollo arrosto o per riscaldare il pane, che passa dal freezer surgelato a caldo e croccante come appena sfornato in appena 4 minuti.

    Anche per i più scettici, il mio suggerimento è di provarla: dato che non è più una novità i costi degli apparecchi si sono parecchio ridotti con l’arrivo , anche nei supermercati e discount, di prodotti di produzione cinese a costi ridottissimi, anche inferiori ai 50 euro.

    Nella scelta di una friggitrice ad aria, quello che è da valutare è innanzitutto la dimensioni del cestello, possibilmente di almeno 3,5 litri, dove maggiori dimensioni significa potere cucinare quantità maggiori in una sola cottura, ma sopratutto avere la possibilità di cuocere in modalità forno elettrico degli alimenti, come un pollo intero, che altrimenti fisicamente non entrerebbero nel cestello e quindi non potrebbero essere cucinati.  In seconda battuta c’è da valutare se avere un modello digitale con display e tasti al posto delle manopole meccaniche, e sui modelli di alta gamma più costosi la possibilità di girare gli alimenti in maniera automatica, che evita la scocciatura di dover aprire il cestello a metà cottura per girare i cibi.

    Ad ogni modo è una scelta sensata specie per chi ama i fritti ma vorrebbe evitare le scocciature di una friggitrice tradizionale, ottima per chi usa spesso alimenti surgelati o che cuoce al forno piccole quantità di cibo, magari per uno o due persone, risparmiando sui tempi e sui consumi date le ridotte dimensioni rispetto a un forno tradizionale.

  • E’ arrivato il momento delle auto elettriche?

    In un mondo sempre più attento all’ambiente le auto elettriche destano sicuramente interesse, ma sono la scelta migliore? Ovviamente la risposta non può essere univoca, perchè le esigenze cambiano a seconda delle nostre abitudini, ma la tecnologia delle batterie non ancora sufficientemente sviluppata relegano la convenienza di questo sistema di alimentazione sono ad alcuni casi specifici.

    Infatti sull’elettrico esistono tanti miti su sui pregi e difetti: se è vero che le auto sono silenziose, non è detto che siano davvero ecologiche o economiche come si crede.

    Certamente dire che una macchina elettrica non sia ecologica può sembrare una provocazione ma in realtà non lo è , perchè se è pur vero che non c’è emissione di inquinanti laddove l’auto è utilizzata, va considerato come l’energia che alimenta l’auto è prodotta: se tale energia proviene da un’inquinante centrale a carbone si è solo spostato il problema: anzichè inquinare in città si inquina nei pressi della centrale elettrica, inoltre la produzione e sopratutto lo smaltimento delle batterie è un processo altamente inquinante, tale che se secondo alcuni studi le emissioni complessive di una macchina elettrica nel suo intero ciclo di vita sarebbero addirittura superiori a un’auto diesel se si considera anche la produzione di energia e batterie.

    Ovviamente se le automobili elettriche, le batterie e l’energia che le alimenta e che è stata necessaria per la produzione provengono da fonti pulite e rinnovabili l’impronta sull’ambiente è minore e quindi più sostenibile, ma va anche considerato che la macchina più ecologica è quella che non viene prodotta, perchè l’inquinamento prodotto dallo smaltimento di un’automobile attualmente in circolazione e dalla produzione di una nuova, seppur meno inquinante, tendenzialmente è maggiore del risparmio sulle emissioni tra la nuova auto e quella che va a sostituire, specie se la macchina che si rottama è ancora efficiente e non troppo datata, pertanto già rispondente alle norme anti inquinamento, seppure non nelle ultimissime versioni.

    Anche l’economicità delle auto elettriche è tutta da vedere: sicuramente allo stato attuale una automobile a batterie costa molto di più di una a motore termico, anche se è vero che con una maggiore diffusione di questa tecnologia i costi, per via delle economie di scala, si abbasseranno. Inoltre è probabile ricadere in incentivi vari da parte di case costruttrici, governi e amministrazioni locali che possono abbattere almeno in parte il prezzo di acquisto e la differenza di prezzo con un’auto tradizionale.

    Discorso differente è l’energia elettrica che fa da “carburante” alla nostra auto, se è vero che si può ricaricare in garage attingendo all’impianto elettrico casalingo, magari dotato di un sistema di auto-generazione di energie rinnovabili come un’impianto fotovoltaico o minieolico, è anche vero che bisogna mettere in conto degli adeguamenti all’impianto elettrico, vuoi per l’acquisto di una wallbox per la ricarica dell’auto dal costo di alcune migliaia di euro, sia per l’adeguamento della potenza dell’impianto per permettere ricariche più veloci e l’utilizzo di altre apparecchiature elettriche della casa in contemporanea alla ricarica dell’auto.

    Ovviamente non tutti hanno un garage in casa dove poter ricaricare l’auto (e questo limita la platea di possibili acquirenti delle auto elettriche), ma è possibile ricaricare le proprie automobili alle colonnine pubbliche, ma qui il discorso si complica: se è vero che esistono delle colonnine pubbliche che consentono , a determinate condizioni, la ricarica gratuita delle auto elettriche, generalmente i tempi di ricarica sono molto lunghi, mentre quando le colonnine sono a pagamento i costi non sempre sono competitivi , a parità di chilometraggio, con il costo dei carburanti tradizionali, e le cose peggiorano quando si fa uso di stazioni di ricarica super veloci, dove spesso i costi di ricarica , vuoi anche per la comodità del servizio rapido, sono più esosi di quelli che si avrebbero con un’auto termica.

    A questo discorso vanno tenuti da conto i tempi di ricarica che sono molto più lunghi rispetto a quelli di un’automobile tradizionale di diversi ordini di grandezza: da una mezz’ora necessaria ad una ricarica superveloce alle 24-48 ore necessarie per una completa ricarica lenta casalinga in un’impianto standard, che impongono la necessità di ripensare l’uso dell’auto.

    Sopratutto per l’uso fuori città,  non potendo ricaricare alla bisogna l’autonomia dell’auto in tempi brevi si è costretti a pianificare il viaggio in funzione dei punti di ricarica e del tempo necessario per la ricarica stessa, e questo significa allungare i tempi di viaggio , seppure ottimizzando i tempi morti della ricarica con altre attività come pranzare o fare shopping, va a mancare la libertà di poter decidere all’ultimo secondo come e dove andare, togliendo all’auto il suo storico ruolo di strumento di libertà e finendo paradossalmente quasi a diventare schiavi delle necessità di ricarica dell’auto.

    Un’adeguata rete di colonnine per la ricarica, sopratutto quelle rapide, diventa essenziale per l’uso extra urbano, perchè l’assenza renderebbe impossibile raggiungere determinate destinazioni, o poter tornare a casa in assenza di punti di ricarica, creando un problema di copertura del servizio di mobilità alla stregua del segnale telefonico.

    Va anche considerato che al momento la tassazione delle auto elettriche è conveniente, ma non è detto che lo sia in futuro, perchè il gettito fiscale delle auto termiche che verranno a mancare per il passaggio all’elettrico dovrà essere in qualche modo compensato, e un modo potrebbe essere nella maggiore tassazione dell’energia elettrica, cosa che potrebbe sparigliare i conti sulla convenienza delle auto a batterie.

    Ovviamente con l’evoluzione della tecnologia, con batterie di nuovo tipo magari più capienti , più economiche, più leggere per limitare i consumi e con tempi di ricarica più brevi magari ci si avvicinerà al concetto di un’automobile tradizionale, ma allo stato attuale l’uso di un’auto elettrica presuppone dei compromessi che non tutti hanno la possibilità o la voglia di accettare, seppur animati dal più fervente spirito ecologico.

    Ad ogni modo la tecnologia compie sempre passi da gigante e nuove soluzioni sono all’orizzonte, come le fuel-cell: sostanzialmente delle auto elettriche dove al posto delle batterie è presente un sistema di generazione dell’energia che può essere ricaricato, con idrogeno ad alta pressione, in pochi minuti e che non produce inquinamento, garantendo autonomie comparabili alle automobili tradizionali, ma che al momento soffre di problematiche tecnologiche che non rendono particolarmente sostenibile economicamente la produzione di idrogeno.

    Tante nuove soluzioni, contemporaneamente all’evoluzione delle auto tradizionali, che vuoi per i costi, vuoi per le necessità di ricarica rapida, si ridurranno ma non potranno essere completamente eliminate nel breve periodo, porteranno in un futuro varie tipologie di automobili per rispecchiare diverse esigenze degli utilizzatori creando un mix più vario dell’attuale, rendendo l’elettrico una buona soluzione in ambito di una mobilità cittadina, specie se si ha la possibilità di ricaricare l’auto nel proprio garage, magari lasciando prima al diesel e poi alle fuel-cell il ruolo di tecnologia ideale per le lunghe distanze.

  • Il diesel conviene ancora?

    Se avete in mente di comprare o cambiare auto, sicuramente una delle cose da valutare oltre a prezzo, dimensioni e dotazioni è l’alimentazione del nostro mezzo. Meglio Benzina magari con impianto a GPL o metano, Diesel oppure orientarsi alle ibride o addirittura alle elettriche?

    Se fino a poco tempo fa ci si orientava sui benzina per basse percorrenze (entro i 10-15.000km.) e diesel se si superava quella soglia, ora i conti sono cambiati.

    I diesel infatti per via delle sempre più stringenti norme anti inquinamento richiedono sistemi sempre più complessi per poter non superare i limiti, e questo ha portato all’introduzione di sistemi come il FAP che richiedono una procedura di pulizia del filtro periodica che va fatto a velocità sostenuta per almeno 15/20 minuti, pena dover procedere allo svuotamento del filtro in officina o addirittura la sostituzione del catalizzatore con costi importanti o l’SCR che richiede un’additivo (adblue), che va aggiunto al gasolio in un’apposito serbatoio.

    Se si fa un uso prevalentemente cittadino dell’auto, vanno considerati i blocchi del traffico che colpiscono i diesel, anche i più recenti, più stringenti ci quelli per i benzina, oltre a questo i tragitti brevi cittadini non fanno bene alla longevità di motori pensati per le lunghe percorrenze, ma sopratutto non si avrebbe modo di attuare la procedura di pulizia del FAP, che richiede strada libera a velocità sostenuta, che non può esserci in città con code e semafori, cosa che può portare a seccature ed ingenti spese di manutenzione.

    Inoltre i benzina, grazie al downsizing dovuto all’introduzione di massa del turbo sono sempre più efficienti sia come prestazioni che come consumi,  e  l’erogazione di coppia in basso della turbina li rende più vivaci a bassi regimi rendendoli simili ai diesel. Va anche considerato che generalmente un benzina costa meno sia di acquisto che di manutenzione rispetto a un’omologo a gasolio, quindi anche la soglia chilometrica di convenienza si allunga a favore dei benzina.

    Altro aspetto da considerare è che rispetto a prima le auto a trazione elettrica, sia quelle completamente elettrica che quelle ibride costano molto meno di un tempo e iniziano in certi casi ad essere un’alternativa valida alle classiche benzina e diesel.

    Le ibride sopratutto, che aggiungono un motore elettrico a uno termico, non soffrono di problemi di autonomia e non costano troppo rispetto ai corrispettivi tradizionali, anche perchè ne derivano strettamente, e almeno al momento diventano un toccasana per i blocchi del traffico delle grandi città.

    Le vere elettriche alimentate solo a batteria sono più complesse, costose e spesso soffrono di problemi di ridotta autonomia, che non permettono lunghi viaggi, anche per via dei lunghi tempi necessari alla ricarica (che richiedono dal minimo di una mezzora a diverse ore a seconda di capacità della batteria e voltaggio della rete) ma sono la soluzione ideale per i patiti dell’ambiente che girano spesso in città (anche se a dire il vero andrebbe ben capito quanto e come impatta sull’ambiente la produzione dell’energia e lo smaltimento delle batterie) e dovrebbe garantire anche per il futuro l’esenzione da tasse e blocchi del traffico, oltre alla possibilità di ricaricare la propria auto nel proprio garage, cosa che potrebbe rivelarsi a seconda dei casi, anche in funzione di alcuni incentivi, non solo comodo ma anche molto conveniente.

    Anche GPL e metano sono delle interessanti ed economiche alternative ai combustibili tradizionali, anche se con alcuni contro che vanno comunque valutati. Infatti se è pur vero che la rete di distributori è meno capillare rispetto a gasolio e benzina (e al momento non esistono distributori automatici), che esistono alcune limitazioni nei parcheggi interrati, che necessitano di maggiore manutenzione e collaudi periodici da parte di impiantisti specializzati, che a seconda dei casi si perde spazio nel bagagliaio, ma il costo più basso del carburante fa ammortizzare i costi dell’impianto in breve tempo permettendoci di risparmiare anche la metà rispetto a un pieno tradizionale.

    Un vantaggio dei diesel rispetto ad altre alimentazioni era la maggior tenuta del valore dell’usato, anche in funzione di una presunta maggiore longevità del motore, cosa che potrebbe essere minata in futuro dai sempre più frequenti blocchi del traffico che li colpiscono e la sempre più probabile futura scomparsa dei diesel dal mercato specie nei segmenti più piccoli, per via della poca convenienza economica delle case ad investire per adeguarsi alle sempre più complesse normative ambientali, e dalla maggior convenienza della mobilità elettrica.

    Insomma alla fine, ci sono sempre più elementi e alternative da valutare in funzione dell’uso che si fa dell’auto e dei chilometraggi previsti. A voi la scelta!

  • Auto usate, qualche consiglio utile

    Acquistare un’auto usata è sempre un’incognita, per quanto si possa conoscere o fidarsi del precedente proprietario non si è mai sicuri delle condizioni della macchina, e se ci stanno rifilando qualche fregatura.

    Generalmente le fregature più comuni sono i chilometri scalati (si modifica fraudolentemente il chilometraggio per far sembrare più giovane un’usato troppo “usato”, altrimenti difficilmente vendibile o appetibile specie a certi prezzi…), la presenza di difetti costosi da riparare o di grossi incidenti pregressi e opportunamente celati, e le truffe dove a fronte del versamento di una caparra per bloccare la vettura, il venditore sparisce o cerca di vendere un’auto non sua.

    Se non si ha una certa esperienza, alcune catene di autoriparatori (es. Bosch, Certificauto, TUV, Checkstar, Rhiag A posto, etc.) forniscono a pagamento (circa 100-150 euro) un servizio di check sia meccanico che amministrativo che certifica in maniera indipendente lo stato dell’auto, aiutandoci a schivare una possibile fregatura.

    Altra cosa da capire è chi era il precedente proprietario: se fosse un privato, ci si deve affidare alla serietà della persona, dalla manutenzione effettuata (la presenza del libretto dei tagliandi e le fatture delle riparazioni è un buon indice) e da una prova su strada per verificare l’assenza di strani rumorini e comportamenti in marcia, e nel dubbio rifiutare l’offerta.

    Se invece il vecchio proprietario era una ditta, le cose si complicano un pò, generalmente le auto “aziendali” arrivano da concessionarie e società di noleggio. Quelle provenienti da concessionarie possono essere state in uso a dipendenti oppure come auto sostituitiva ai clienti, in questo secondo caso può essere indice di un uso non molto oculato della vettura nonostante il probabile check-up del veicolo ad opera dell’officina interna.

    Tra quelle provenienti da società di noleggio ci sono ottimi usati ed altri meno buoni: se si tratta di noleggio breve termine (le classiche società di noleggio presenti negli aeroporti , tipo Avis, Hertz, Europcar, SicilybyCar e similari, che ormai vendono anche ai privati le loro auto al termine del loro ciclo di vita) nonostante sia abbia una certezza del chilometraggio, probabilmente l’uso della macchina non è stato ottimale rispetto ad un’auto guidata sempre dalla stessa persona (dovendola restituire dopo poco tempo per esempio l’utente spesso non si cura di evitare di tirarla a freddo o di scansare una buca, cose che a lungo andare possono creare problemi alla vettura…).

    Se invece le auto arrivano da una società di noleggio a lungo termine (es. Ald, Arval, Alphabet,Leasys, Athlon, Leaseplan, etc.), sono auto provenienti da flotte aziendali, visto che alle grandi aziende conviene per vari motivi (fiscali, gestione,prezzo) noleggiare le auto da società specializzate piuttosto che comprarle direttamente: la discriminante è l’uso dell’auto: se era in uso come car pooling, dove più dipendenti accedono alla stessa auto in base alla disponibilità oppure affidata esclusivamente a un solo dipendente (a volte l’automobile di servizio è proprio un benefit aziendale previsto dai contratti di lavoro, specie a livelli medio-alti).

    In entrambi i casi auto del genere hanno la certezza di chilometraggi certificati (dato che i contratti prevedono un dato chilometraggio in un periodo di tempo prestabilito) e di manutenzione effettuata regolarmente alle scadenze previste dal produttore, dato che i costi dei tagliandi sono inclusi nel canone di noleggio. In caso di car-pooling le preoccupazioni sull’uso dell’auto sono simili a quelle del noleggio a breve termine, mentre quelle in uso esclusivo a un singolo dipendente possono rivelarsi dei buoni affari.

    Infatti le aziendali date in uso esclusivo a un dipendente sono quelle vendute direttamente , anche ai privati, dalle società di noleggio a prezzi generalmente più bassi della media del mercato, dato che quelle più sfruttate, magari passate per il car-pooling , che necessitano di essere ripristinate per via di guasti o incidenti o più vecchie finiscono vendute agli operatori del settore, che acquistandole a buon prezzo hanno il margine per ripristinarle e venderle negli autosaloni dell’usato.

    Riuscire ad acquistare dalle società di noleggio, per un privato, può essere la scelta vincente: quelle vendute direttamente , anche per evitare problemi con la garanzia, generalmente sono le migliori : modelli più richiesti in allestimenti generalmente completi dei principali optional, più giovani, meno sfruttate e senza grossi difetti. Il problema è che la macchina potrebbe trovarsi dall’altra parte del paese (vanno infatti ben valutati i costi per andare a vedere prima, e ritirare l’auto poi) e le tempistica di consegna, dove per ragioni burocratiche sono necessari diversi giorni dopo la stipula del contratto prima di poter ritirare l’auto.

    Per l’acquisto di queste auto aziendali, se non si abita nei pressi dei piazzali delle società di noleggio, ci si può rivolgere a internet o tramite i soliti motori di ricerca tipo Autoscout24, Automobile.it, Autouncle e similari, dove spesso sono inserzionate, oppure direttamente ai siti delle società di noleggio (es. Ald, Arval, Leasys, Alphabet, Athlon, Leaseplan, etc.) o dei loro intermediari (es. The hurry , Ariel CarCentrovenditadiretta, etc.).

    Buona ricerca!

     

     

     

  • Condividere gli account digitali

    Ormai molti servizi via internet di ultima generazione, da quelli per lo streaming di contenuti video o audio, ai videogiochi, ad addirittura la fornitura software sono passati dal paradigma di vendere una licenza a prezzo fisso al concetto di abbonamento mensile o annuale.

    La cosa ha convenienza per i gestori dei servizi in quanto tende ad abbattere la pirateria , non richiedendo una grossa cifra una tantum per accedere al servizio, dato che si va a trasformare in un canone mensile di pochi euro e permette sopratutto di tagliare il servizio ai clienti che non pagano, come accade per le utenze, dove se non si paga la bolletta il gestore può cessare l’erogazione dei servizi fino al pagamento dei debiti pregressi.

    Fortunatamente questi servizi sono totalmente online e generalmente permettono di non avere contratti capestro che ci legano al servizio per un lungo periodo di tempo, consentendoci di disdire o bloccare il servizio mese per mese.

    Spesso poi il primo periodo è pure gratis per invogliarci a provare il servizio e capire se effettivamente andremo ad utilizzarlo. Essendo però dei servizi legati ad un’account, se in famiglia più membri volessero utilizzare lo stesso servizio (esempio i genitori guardare un film mentre il bambino vuole vedere i cartoni, oppure se due fratelli vogliono ascoltare musica in streaming  ciascuno nella propria stanza nello stesso momento) servirebbero in teoria più account moltiplicando la spesa per il servizio.

    Anche qui le compagnie tecnologiche hanno messo una pezza inventando degli account family, che ad un canone un pò più alto di quello standard consentono di condividere più account all’interno della stessa famiglia.

    Questi account family però, nelle pieghe dei contratti dei vari gestori, possono, a seconda dei casi, permettere una condivisione con amici e parenti: da un punto di vista tecnico è possibile se non si vanno a superare un certo numero di utenti attivi nello stesso momento, pena il blocco dell’erogazione del servizio, dal punto di vista legale dipende da servizio a servizio: qualcuno è legalmente condivisibile con gli amici, qualcun’altro solo con familiari, qualcun’altro con conviventi (esempio dei coinquilini che si dividono un’appartamento e quindi possono condividere il loro account family): quindi per un servizio che costerebbe 15 euro al mese, diviso per 5 , che generalmente è il limite massimo degli utenti contemporanei consentiti, significa spendere solo 3 euro al mese ad utente se si riescono a trovare altre 4 persone con cui dividere la spesa.

    Ovviamente i condivisori non possono a loro volta ri-condividere l’account ne usare due istanze del servizio in contemporanea pena creare problemi ai colleghi di condivisione che potrebbero non avere più accesso al servizio poichè si supererebbe il limite, inoltre un uso contemporaneo troppo frequente può far insospettire il gestore che a seconda dei casi può sospendere l’account.

    Per chi si vuole cimentare in queste condivisioni, sempre se il servizio legalmente lo permetta, è nato un sito che le gestisce, chiamato Toghter Price, che facilita la condivisione degli account e permettere di trovare, tramite una sorta di bacheca online, colleghi di condivisione a cui vendere gli slot, e sopratutto riscuotere le quote, prendendo a seconda dei casi una piccola percentuale per la transazione.

    Comodo e geniale, ma ovviamente, lo ripetiamo, può essere utilizzato solamente per servizi che legalmente permettano la condivisione e che si rispettino le condizioni imposte dal gestore (esempio fare parte di una stessa famiglia o abitare allo stesso indirizzo).

  • Comprare dalla Cina conviene davvero?

    Navigando in rete, magari vedendo ciò che viene pubblicizzato in certi banner vi sarà venuto in mente di acquistare dei prodotti dalla Cina. Considerando che gran parte dei negozi vendono prodotti provenienti dal celeste impero, probabilmente saltando qualche intermediario avrete pensato che potrebbe scapparci l’affare. E’ davvero cosi?

    Purtroppo non esiste una risposta univoca, perchè se è pur vero che acquistare alla fonte può portarci a trovare dei prezzi bassi, non è affatto vero che ciò convenga.

    Infatti vanno considerati diversi fattori, in primis la qualità: un prodotto cinese pensato da cinesi per il mercato cinese ha degli standard qualitativi più bassi di quelli per cui siamo abituati, compresa la maggiore difettosità. Un prodotto ingegnerizzato o comunque pensato per i mercati occidentali, seppur prodotto in Cina, è sicuramente di qualità migliore. Ovviamente quanto questa qualità incide dipende dal prodotto che cerchiamo e dal nostro budget, ma dover rispedire un prodotto difettoso a un centro di assistenza in Cina, come avremmo modo di vedere, non è sempre una soluzione conveniente.

    Un problema un po più importante che riguarda i prodotti cinesi è la certificazione: un prodotto pensato per la Cina deve sottostare a delle regole ben più blande di quelle richieste alle nostre latitudini, pertanto il prodotto cinese costa meno anche per questo motivo. Tralaltro un prodotto che non rispetta le regole in vigore nel nostro paese potrebbe venire sequestrato in dogana, aggiungendo la beffa di non ricevere un prodotto già pagato e magari rischiare pure delle sanzioni per via del nostro acquisto.

    Altro fattore importante è quello delle contraffazioni: in Cina ne girano parecchie, addirittura esistono contraffazioni di imitazioni: non potendo visionare con mano si rischia di pagare per buono un prodotto illegale, anch’esso a rischio di sequestro, oltre a trovarci un prodotto con caratteristiche inferiori rispetto a quelle dichiarate (anche se il problema è presente anche con prodotti perfettamente legali dove capita spesso di trovare reclamizzate delle prestazioni ben superiori di quelle effettive).

    Conviene sempre accertarsi che il prodotto che vogliamo acquistare sia di buona qualità e fattura, sia originale, che provenga da un venditore affidabile, e che esista una sorta di protezione per gli acquirenti (dal feedback sui venditori, al rimborso in caso di mancata consegna o di prodotto contraffatto, come previsto sia da ebay pagando con paypal, sia dai maggiori e-commerce cinesi), anche avvalendosi dei consigli di chi già ha acquistato quel prodotto, reperibili nelle recensioni in rete e sui forum.

    Al di la del fattore prodotto, gioca un ruolo importante anche la spedizione: è bene valutare molto bene i costi e i tempi di consegna. Infatti è possibile spedire dalla Cina a prezzi molto bassi, ma con tempi di consegna lunghi (a volte una spedizione economica tra tempi di spedizione e sdoganamento potrebbe arrivare sulla nostra scrivania anche tre mesi dopo il giorno dell’ordine), mentre per contro le spedizioni con corriere, nonostante garantiscano una consegna in meno di una settimana hanno costi assai elevati.

    A questo si aggiunge il fattore dogana. Purtoppo la dogana italiana è forse una delle piu lente e burocratiche del pianeta: una volta che il nostro pacchetto arriva in terra italiana, deve essere sdoganato,con costi e sopratutto tempi incerti. I costi (sdoganamento, iva e dazi) in realtà sarebbero ben definiti, ma la dogana ha la facoltà di ispezionare il pacco e qualora non ritenesse congruo il valore dichiarato in bolla può applicare gli oneri su una loro stima del valore, a meno che non si provi (ad esempio con la fattura dei prodotti acquistati) il reale valore dei beni. Purtroppo però quando ci si trova in questo caso (a volte anche  per colpa di chi spedisce che pensa ingenuamente che dichiarare il contenuto come regalo o con un valore molto basso, inferiore alla franchigia doganale , possa servire ad evitare il controllo e il relativo pagamento degli oneri doganali) si entra in una sorta di calvario che tra tempi di sdoganamento lunghi per via del poco personale, raccomandate, fax e call center sempre occupati, fa si che si perda anche più di mese da quando il nostro plico arriva in terra italiana.

    Esiste poi qualche trucchetto per cercare di farla franca in dogana (ad esempio di questi tempi va di moda farsi spedire la roba con le poste di una nazione europea, esempio olandesi o svedesi, che vendono i propri servizi di spedizione internazionale anche in Cina, e raggruppano le spedizioni  fino alla propria nazione per poi spedire da li il pacco alla destinazione europea, ed avendo la spedizione un codice internazionale europeo tende a saltare i controlli doganali, recuperando i più lunghi tempi di consegna con il bypassare la nostra lenta dogana)  , ma non sono mai garanzia assoluta, anche perchè la validità di questi trucchetti non dura in eterno (un tempo si suggeriva per passare indenni dalla dogana di utilizzare i corrieri espresso, ora invece utilizzando questo tipo di spedizione si ha la certezza di essere fermati, anche se i tempi di sdoganamento sono effettivamente più rapidi) e non è garantita.

    Ovviamente se mettiamo in conto costi e tempi è possibile che nel periodo che intercorre tra l’ordine e la consegna il nostro prodotto scenda di prezzo, e che quindi comprarlo in europa, saltando le lunghe tempistiche necessarie di un acquisto intercontinentale,  possa costarci anche meno, oltre al fatto che più un pacco rimane in giro e più rischia di perdersi o di finire in mano a qualche impiegato postale disonesto.

    A questo si aggiunge il discorso garanzia : infatti seppur di durata inferiore ai nostri 2 anni, anche un prodotto venduto in Cina gode di una garanzia: il problema è che rispedire in Cina il nostro prodotto guasto ci espone a diverse problematiche. La prima è il costo della spedizione , infatti diversamente dalle spedizioni originate dalla Cina, spedire un pacchetto dall’Italia verso la Cina è molto costoso, e spesso per rispedirlo si va a spendere più di quanto ci è costato il prodotto da far riparare, rendendo poco conveniente la cosa. A questo si aggiungono i tempi di spedizione (che incidono anche sul valore residuo di un prodotto elettronico, che quando ritornerà dall’assistenza potrebbe  essere stato sopravanzato dal nuovo modello uscito nel frattempo, perdendo di valore), sia all’andata verso il venditore che per la riconsegna e i costi della dogana per il prodotto riparato. Sicuramente rispedire il prodotto a un centro di garanzia europeo significa tempi certi e costi piu brevi.

    Il consiglio è quindi di non considerare il solo prezzo del prodotto, ma tutti questi fattori di cui si parlava: probabilmente per pochi euro in più potremmo trovare lo stesso prodotto in europa sia in rete (accertandoci pero’ che la spedizione avvenga dal territorio europeo: spesso alcuni venditori, specie su ebay o sul marketplace di amazon, fanno dropshipping dalla cina, questo significa che fanno spedire per loro conto il prodotto da un venditore cinese facendoci un ricarico, ma questo ci espone agli stessi problemi di un acquisto fatto direttamente in Cina), o sia nei mercatoni cinesi oramai presenti nelle periferie di tutte le nostre città o addirittura nei centri commerciali, dove si trovano sempre più spesso prodotti di provenienza cinese distribuiti da ditte europee a prezzi poco più alti di quelli del paese di origine, ma che godono dei 2 anni di garanzia europea, e dell’assistenza del venditore, al quale poterlo riportare per la sostituzione in caso di problemi.

  • La birra fatta in casa conviene davvero?

    La birra fatta in casa conviene davvero?

    La birra è una bevanda rinfrescante adatta a un po tutte le occasioni: dall’aperitivo, ai pasti, al dopocena, magari bevuta al pub in compagnia degli amici. La domanda che però ci facciamo è, dato che se ne consuma tanta è conveniente prodursi la propria birra?

    La risposta è “ni”, perchè dipende molto da che birra beviamo, quanta ne beviamo e in che occasioni. Infatti se la usiamo per pasteggiare e siamo soliti comprare quella meno costosa che troviamo negli scaffali dei supermercati o dei discount sicuramente prodursela a casa, anche considerando il costo di attrezzature, materiali e tempo impiegato probabilmente non conviene.

    Se invece siamo amanti di birre particolari, magari di certi particolari stili, amiamo le birre artigianali e ricercate (che spesso costano quanto se non più di un vino e a volte ne hanno la stessa gradazione), magari le regaliamo agli amici altrettanto appassionati allora il discorso cambia.

    Inoltre c’è da dire che l’home brewing, l’arte di farsi da soli la birra in casa, è principalmente un hobby (che per qualche fortunato è anche diventato un lavoro a tempo pieno), sopratutto in quanto consente di dare un tocco personale alle proprie creazioni, dal sapore all’etichetta.

    Ma vediamo rapidamente cosa occorre per fare una birra casalinga: fortunatamente esistono dei kit che consentono all’appassionato di trovare in un’unica scatola tutto cio che occorre per la preparazione, compreso un valido libretto di istruzioni con la procedura passo passo da seguire, e che consente dei risultati sicuramente non peggiori della birra che si compra al supermercato, a patto di seguire tutte le indicazioni fornite.

    Il kit si compone di uno o piu fermentatori (dei bidoni di plastica simili a quelli della tinta per pareti), un’apposito gorgogliatore da mettere in cima al bidone, un mestolo in plastica, dei tubi in gomma per il travaso, un termometro adesivo e un densimetro necessari per capire quando parte e quando finisce la fermentazione, una soluzione per la sanificazione , una tappatrice e i relativi tappi a corona.

    A questo kit va aggiunto , almeno per i procedimenti più semplici adatti anche ai principianti, una confezione di malto in kit ,da scegliere tra centinaia di stili (giusto per fare qualche esempio, dalla classica pils, a quella al frumento, alla bianca, o alle varie tipologie di origine belga, alla stout o alle IPA, etc.) , tipologie e produttori per ottenere il tipo di birra preferito, al quale va aggiunto dello zucchero o dell’estratto di malto , dell’ acqua nella quantità indicata dalla confezione di malto scelta e il lievito fornito insieme al malto, e ovviamente delle bottiglie che potremmo recuperare facilmente , basterà conservarle o farcele dare da qualche bar o pub.

    Il procedimento con l’uso di malti in kit è semplice e non richiede particolari perizie e anche il tempo necessario non è tanto: basterà dedicare un’oretta alla preparazione , attendere che fermenti circa una settimana per poter imbottigliare, e almeno altre due perchè avvenga la seconda fermentazione in bottiglia, per poterci consentire di gustare la nostra birra ,anche se è preferibile a seconda della birra lasciarla maturare per qualche settimana in più per ottenere un miglior risultato.

    Dicevamo che la preparazione è una cosa abbastanza semplice: è importantissimo sanificare col prodotto fornito tutto ciò con cui la bevanda andrà in contatto, dal fermentatore ai mestoli, alle bottiglie. Fatto questo dovremmo scaldare a bagnomaria la confezione del malto per una decina di minuti poichè la sostanza contenuta divenga da mielosa a liquida, aggiungere dell’acqua nel fermentatore, il malto appena scaldato, lo zucchero o l’estratto di malto e amalgamare il tutto. Quando la temperatura sarà scesa si aggiungerà il lievito fornito insieme al malto, si tapperà il fermentatore , si inserirà il gorgogliatore e si effettuerà la prima misurazione col densimetro .Dopo qualche giorno il nostro mosto sarà fermentato (dovremmo misurarlo ancora con il densimetro) quindi andrà aggiunto dell’ulteriore zucchero e  imbottigliato per la seconda fase della fermentazione, che avviene in bottiglia, e della maturazione: in pratica gia dopo un mese potremmo gustare la nostra birra, anche se le tempistiche variano molto sia a seconda del malto scelto che della temperatura.

    Le cose cambieranno se appassionandosi si vorrà evolvere scegliendosi personalmente malti e luppoli, che richiedono dei processi più complicati che portano via circa 8 ore per la sola preparazione del “mosto”, oltre a richiedere una maggiore strumentazione, ma questo sarà un passo eventualmente da affrontare se vorremmo portare avanti il nostro hobby in una maniera più professionale.

    Quanto ai costi, il kit iniziale che possiamo riutilizzare per tutte le nostre birre, costa a seconda della composizione e della qualità dei componenti tra i 60 e i 100 euro. Un barattolo di malto in kit comprensivo del lievito costa intorno ai 15 euro e permette di fare dai 9 ai 23 litri di birra a seconda del malto scelto (più il tasso alcolico della birra è alto e meno se ne produce) . A questo si aggiunge, a seconda del malto, circa un chilo di fermentabili come lo zucchero (quello classico che è sconsigliato costa circa 1 euro al kg, quello di canna 2, del miele o il destrosio che invece non lascia residui ed è consigliabile costa circa 2,5 al kg) oppure l’estratto di malto o un beer enhancer ( che costano tra gli 8 e i 10 euro al kg), eventualmente anche miscelandoli tra loro per dare corpo alla birra personalizzandola.

    In pratica un litro di birra con malto in kit ci viene a costare tra i 70 centesimi (di un malto leggero che produce 23 litri, e usando il solo zucchero comune) e i 2.70 euro a litro (di un malto per uno stile molto alcolico che quindi rende poco e l’uso del solo estratto di malto al posto dello zucchero), con un costo medio di circa 1.50 a litro nei casi piu comuni: come detto costa poco di più rispetto alla birra da supermercato, ma la qualità è maggiore e la soddisfazione di aver creato qualcosa di personale è impagabile, specie quando la si regala agli amici!!