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  • La garanzia sui prodotti usati puo’ nascondere brutte sorprese

    La garanzia sui prodotti usati puo’ nascondere brutte sorprese

    Quando vogliamo acquistare un prodotto usato spesso ci rivolgiamo a dei marketplace, dei forum, delle app o dei siti di annunci con l’intento di risparmiare qualcosa rispetto al prezzo del nuovo.

    E se il prodotto ha solo pochi mesi di vita se è stato trattato bene e non ha subito cadute o guasti causati dal precedente proprietario gode ancora di una parte di garanzia residua, cosa che rende il nostro acquisto simile al nuovo, pur avendolo pagato di meno.

    In realtà però non è sempre vero, in primis perchè se acquistiamo da un privato non è tenuto a fornirci una garanzia, anche se il prodotto è coperto dalla garanzia di chi glielo ha venduto, e a volte anche quella del produttore del bene.

    Anche qui bisogna fare attenzione: se chi acquista il prodotto nuovo da un rivenditore è un privato ha diritto a 2 anni di garanzia erogati dal venditore, mentre se chi acquista è una ditta con partita iva l’obbligo di legge si riduce ad un anno, che è anche la durata minima della garanzia dovuta per legge dal costruttore: questo significa che a meno che il costruttore non decida di farsene carico comunque, a norma di legge il secondo anno di garanzia per i privati è di competenza del venditore.

    E qui vengono i problemi: se noi ci presentiamo al centro di assistenza del produttore con lo scontrino per richiedere assistenza, se ci si trova oltre il primo anno di garanzia potrebbero rifiutarci l’intervento o proporre di  effettuarlo a pagamento, in quel caso dovremmo contattare il venditore che si dovrà occupare di risolvere il nostro problema. 

    Ma se il venditore tiene traccia della persona a cui ha venduto la merce e dato che l’abbiamo comprata usata non siamo quella persona potrebbe anche rifiutarsi di adempiere ai suoi doveri.

    C’è da dire che se ci si presenta con lo scontrino e siamo nei tempi di legge generalmente si riesce a risolvere, al limite chiedendo al primo proprietario di intercedere per nostro conto col negoziante per richiedere la riparazione.

    Ma se il prodotto fosse stato comprato online?  Qui viene il bello , specie se il prodotto è stato comprato da Amazon, cosa certamente comune e tendenzialmente coperta da un servizio di assistenza particolarmente attento alle esigenze dei suoi clienti.

    Infatti il popolare portale di e-commerce riconosce la garanzia solo all’account di chi ha acquistato il prodotto , quindi se noi contattassimo Amazon per avere assistenza su un prodotto usato, comprato in origine su Amazon da un’altra persona non ci verrà data assistenza anche se avessimo regolare fattura o una dichiarazione di vendita da parte del primo proprietario.

    Purtroppo quella vendita risulta nei loro sistemi associata al primo acquirente e non è possibile migrarla all’account di un altro, quindi l’unica maniera per uscirne è far contattare il servizio clienti Amazon dal primo proprietario, che dovrà gestire lui l’eventuale reso o rimborso.

    Il problema è che non è detto che il primo proprietario abbia il tempo o voglia sbattersi per noi, specie se magari abita in una città diversa, in quel caso la famosa garanzia Amazon si sarà rivelata una fregatura: se fosse stato acquistato in origine altrove avreste avuto la vostra riparazione presentando lo scontrino, e invece magari il vostro iphone di soli 13 mesi di vita rischia di dover essere riparato a pagamento.

    E per quanto può sembrare assurdo è tutto perfettamente legale, pertanto accertatevi di dove il venditore di un bene usato lo abbia acquistato e soprattutto se è disposto a farsi carico della gestione della garanzia con il primo venditore qualora il produttore ve la rifiuti.

    Certo si tratta di un caso limite un po’ particolare, ma è qualcosa che può succedere specie con prodotti di case che applicano la garanzia minima di legge come Apple, quindi è bene stare attenti.

    Voi lo sapevate? Acquistate spesso beni usati? Avete qualche dritta da suggerire, qualche domanda, qualcosa da segnalare? Scrivetelo nei commenti!

  • Telepass : una notizia buona e una cattiva

    Telepass : una notizia buona e una cattiva

    Oggi parliamo del telepass, quel dispositivo che consente di pagare i pedaggi autostradali in automatico solo transitando in un apposita corsia senza dover fare la coda al casello per pagare, in quanto la cifra viene prelevata direttamente dal conto in banca associato al dispositivo.

    E’ quella scatoletta da fissare dietro il parabrezza che fa alzare la sbarra del casello addebitandoci quanto dovuto e che funziona anche nei parcheggi convenzionati col servizio, ad esempio negli aeroporti, ma anche per pagare i traghetti dello stretto di Messina o il ticket dell’area C di Milano.

    Un servizio sicuramente comodo e che fa risparmiare del tempo, ma non certo gratuito : nonostante in un mondo ideale dovrebbe esserlo in quanto fa risparmiare costi e fornisce dati importanti ai gestori autostradali, purtroppo l’utente paga per avere questa comodità.

    E la notizia spiacevole e’ che i prezzi del canone del telepass aumenteranno dal 1 luglio 2022, quindi come comunicato a tutti gli utenti, a meno di non rescindere dal contratto entro il 30 giugno ci si dovra’ sorbire gli aumenti, che a seconda dei casi possono arrivare al 45%: il canone base passera’ da 1.26 euro al mese a 1,83, il twin con opzione premium da 2.10 a 2,38 euro al mese e così via.

    Fortunatamente ci sono altre possibilita’ che non sono il tornare a pagare con carta o contanti facendo la fila, e ne utilizzare la modalità pay per use, che similmente a quello che succede con il telepass europeo, oltre a un costo di attivazione si paga un canone solo nel mese di utilizzo, peccato che questo canone sia ben piu corposo di quello base, e basta un uso sporadico per rischiare di aver speso di piu rispetto al base.

    Mi riferisco invece al fatto che e’ finalmente nato un servizio concorrente a Telepass, chiamato UnipolMove che facendo concorrenza all’operatore storico e prevede , almeno al momento, dei costi più bassi: certo si tratta di un servizio giovane e che ha ancora qualche difetto di gioventù e che magari non offre quei servizi extra che telepass offre con un pagamento aggiuntivo, come il servizio di telepass europeo o l’accesso a servizi premium via app, ma e’ perfettamente utilizzabile nel territorio italiano con le stesse modalità e facendoci risparmiare qualcosa.

    E se consideriamo i nuovi listini di Telepass , la differenza con il nuovo arrivato si fanno considerevoli, perché se viene mantenuto il prezzo di 1 euro al mese, significa pagare quasi la metà rispetto al concorrente storico.

    Bisogna vedere quali saranno a regime le mosse del nuovo arrivato e se vorrà accaparrarsi la clientela facendo , soprattutto per i nuovi clienti, offerte al ribasso come accade nel campo della telefonia o se si adeguera’ agli aumenti del concorrente magari tenendosi leggermente più basso, ma il fatto che ci sia una concorrenza e’ una notizia ottima per il consumatore, e ancora di più se spiana la strada ad ulteriori concorrenti, che magari possano offrire il servizio completamente gratis magari in cambio di pubblicita’ , ai clienti di un determinato servizio legato al mondo dell’auto o del consenso all’uso dei nostri dati.

    Certo in un mondo ideale i costi del servizio dovrebbero sobbarcarseli i gestori autostradali, un po come accade con le commissioni bancarie delle carte quando paghiamo nei negozi, dove e’ chi riceve il denaro a pagare la commissione, ma fin tanto che il sistema funziona così quello che possiamo fare e’ sfruttare la concorrenza.

    Voi utilizzate il telepass? Sapevate di questi aumenti e del nuovo arrivato? Scrivetelo nei commenti.

  • Il NAS : accedere ai file di casa da tutta la rete

    Il NAS : accedere ai file di casa da tutta la rete

    Parliamo di NAS quella sorta di hard disk di rete utili per condividere dati, documenti ma anche elementi multimediali come foto, musica e video sia all’interno della nostra rete locale che a volte anche all’esterno consentendoci di accedere da remoto a dei file che abbiamo conservato a casa nostra.

    Si tratta infatti di apparecchi che contengono al loro interno uno o più hard disk e che si collegano tramite un cavo ethernet al nostro router internet e non alla classica porta USB. Questo gli permette di essere visti da tutti i dispositivi collegati al nostro router, come computer, tablet, smartphone, smart tv, dispositivi connessi a internet, etc. 

    A seconda dei modelli e delle impostazioni sarà anche possibile rendere visibili i nostri file anche all’esterno della nostra rete impostando delle apposite credenziali d’accesso per accedervi tramite internet.

    Questa modalita’ risulta comoda ad esempio per poter accedere dall’ufficio o in mobilita’ ai file che abbiamo in casa, anche se ci espone a qualche rischio se il nostro dispositivo non dovesse aggiornato o configurato a dovere poiche’ un malintenzionato potrebbe accedere abusivamente ai nostri file.

    Un’altro vantaggio e’ per la sicurezza dei nostri file: gli hard disk contenuti nei nas generalmente sono specifici per questo uso in quanto il nas dovra’ stare sempre acceso per poter condividere i file e quindi i dischi sono progettati per essere accesi per lungo tempo senza avere problemi, al contrario di un disco pensato per un computer che generalmente rimane acceso solo per poche ore al giorno.

    I modelli con piu’ di un disco hanno anche la possibilita’ di fare una doppia copia dei dati di modo che se un disco si dovesse rompere si possa sempre recuperare il contenuto , alcuni hanno anche la possibilita’ di mandare un’ulteriore copia a un server esterno magari in cloud di modo che i dati siano stoccati fisicamente in posto diverso, consentendoci di mettere in pratica la regola del 3-2-1 per salvaguardare i nostri file.

    Si tratta di una regola per la quale , per salvaguardare i nostri dati da ogni genere di disastro andrebbero fatte 3 copie su dispositivi differenti e almeno una salvata fisicamente in un luogo distante dalle altre due, in modo da resistere anche a furti o eventi naturali.

    Ma come si usa un nas? Una volta impostato la prima volta tramite un’interfaccia web accessibile da un browser e creati degli utenti che a seconda dei casi potranno vedere l’intero contenuto del disco, un’area comune o uno spazio personale dedicato al singolo utente, il nostro disco e/o le nostre cartelle condivise verranno viste dal sistema operativo come fosse un normale hard disk collegato al nostro pc, o cercando il percorso di rete nell’interfaccia delle nostre app su tablet, smartphone o dispositivi connessi alla rete come le smart tv.

    Un uso comune dei nas casalinghi infatti e’ come media server: i nostri video, foto, musica presenti nei dischi del nostro nas saranno accessibili a tutti i nostri dispositivi multimediali, come televisori o impianti audio, che ovviamente devono essere connessi alla nostra rete, senza dover caricare i file da riprodurre su una chiavetta usb rendendo la fruizione dei contenuti multimediali molto comoda.

    Altro uso comodo e’ per il backup automatico dei nostri dati sia dei computer che dei dispositivi mobili: impostando dei backup periodici sul nostro nas avremo copia dei dati importanti che vogliamo salvaguardare senza dover intervenire manualmente facendo delle copie e senza doversene ricordare ogni volta.

    Ovviamente per funzionare i nas devono stare sempre accesi e connessi alla rete altrimenti i dispositivi quando hanno necessità di accedervi non lo troverebbero e andrebbero in errore, e se per la riproduzione multimediale puo’ non essere un grande problema, lo diventa se non si riesce a fare il backup dei nostri dati, o se usiamo il nostro nas per stoccare dei file pesanti che non vogliamo mantenere nel disco del nostro computer per evitare di saturarlo.

    Essendo i nas dei veri e propri server connessi a internet, a seconda dei casi e’ possibile installare delle vere e proprie applicazioni come per esempio per il download di file torrent, per lo streaming multimediale, server web o di posta, etc.

    Con un po di competenza informatica ci si può anche costruire da soli un nas usando un vecchio pc sul quale installare una distribuzione linux dedicata allo scopo avendo un sistema  anche più potente e personalizzabile di quelli in commercio, ma dovendo mettere in conto un po’ di sbattimenti per la configurazione e magari dei consumi maggiori di corrente.

    Ma quanto costa un nas? Tutto dipende dai dischi che sono la parte più costosa, un nas senza dischi lo si porta a casa anche con poco più di 100 euro per i modelli più economici, ma il grosso della spesa lo fanno i dischi, sia se si compra un nas venduto con dei dischi preinstallati dalla casa, o se per maggior risparmio o versatilità si sceglie un nas diskless al quale aggiungere noi i dischi: più sono capienti e più costano: se per un disco di pochi tera possono bastare anche 100 euro , dischi di dimensioni importanti possono costare tranquillamente 10 volte tanto, e i dischi generalmente vanno comprati almeno in coppia per tutelarsi dai guasti quindi il conto si fa facilmente salato, specie se i dati da conservare sono tanti, perché magari facciamo uso , per lavoro o per svago di file di dimensioni corpose che possono saturare i dischi in breve tempo.


    Ad ogni modo va messo in preventivo di spendere almeno alcune centinaia di euro per una soluzione casalinga, per arrivare tranquillamente ad alcune migliaia di euro se si vogliono soluzioni professionali e/o dischi molto capienti, ma la comodità e la versatilità che danno vale certamente la spesa, specie in ambito lavorativo.

    Voi ne usate i nas, li conoscevate o pensavate di acquistarne uno ? Avete dei dubbi, delle curiosità o dei suggerimenti?  Scrivetelo nei commenti.

  • SPID : Come funziona e a cosa serve

    Oggi parliamo di SPID, il sistema pubblico di identità digitale , strumento necessario per dialogare con l’amministrazione pubblica in via telematica e che nel tempo ha sostituito vari sistemi di accesso spesso basati su password e pin, come quello per l’accesso al sito dell’INPS , ma la cosa si estende a praticamente tutti gli enti statali, locali o parastatali : dai ministeri, all’agenzia delle entrate, dal bollo auto alla forza pubblica, alle regioni o ai comuni ormai tutti adottano questo strumento.

    Essendo uno strumento al tempo stesso burocratico e tecnologico sicuramente non è la cosa più immediata da comprendere, quindi è lecito farsi delle domande: A che serve? Come si usa? Se ne può fare a meno e soprattutto quanto costa?

    Vediamo di rispondere a queste domande: serve ad identificare chiaramente una persona per via telematica, infatti quando presentiamo le nostre istanze, domande, richieste da casa di fronte allo schermo del computer non c’è direttamente un impiegato che possa accertarsi dell’identità della persona con cui sta parlando, quindi qualcuno di diverso dall’interessato potrebbe fare richieste al suo posto, visualizzare informazioni private e personali come ad esempio i cedolini della pensione o lo stato di salute, sia esso una persona autorizzata, come magari il nipote che aiuta il nonno poco avvezzo alle tecnologie o un malintenzionato che si spaccia per l’interessato.

    E lo fa con un’unica registrazione valida per tutti gli enti abilitati allo SPID, quindi una volta ottenuto potremmo utilizzarlo senza effettuare delle registrazioni ad ogni diverso sito delle varie amministrazioni, cosa che se da una parte è comoda potrebbe diventare pericolosa se qualcuno venisse a conoscenza delle nostre credenziali.

    Fortunatamente ci sono più livelli di sicurezza, a seconda dell’importanza delle informazioni richieste dall’ente, quindi a seconda del tipo di operazione potrà esserci un livello di sicurezza differente: per il primo livello basta avere la nostra user e password del nostro SPID, per il secondo serve anche ricevere tramite un sms o una app sul cellulare un codice temporaneo che impedisce al malintenzionato di spacciarsi per voi dato che dovrebbe avere accesso al vostro telefono, per arrivare al terzo livello , usato più raramente, dove per completare l’operazione è richiesto anche un dispositivo fisico come la tessera sanitaria o la carta di identità elettronica opportunamente abilitata, una smart card o un sistema di firma digitale. 

    Per utilizzarlo basterà andare sul sito dell’ente o dell’amministrazione al quale vogliamo accedere e cliccare il pulsante “Entra con SPID”: si aprirà un elenco di società, chiamati in gergo Identity Provider, e scegliere quella con la quale abbiamo sottoscritto il servizio, perché come per la PEC si tratta di un servizio fornito da delle aziende private che applicano le proprie condizioni economiche e diverse tipologie di servizio, e inserire le nostre credenziali per l’autenticazione, ottenendo cosi l’accesso di primo livello. All’ interno poi del sito dell’ente, se dobbiamo fare operazioni più specifiche della semplice consultazione del nostro profilo come ad esempio inoltrare una domanda o inviare un modulo ci sarà richiesta l’autorizzazione di secondo livello tramite il codice temporaneo o la app che otterremo tramite il cellulare collegato al nostro SPID.

    Essendo il servizio erogato da delle aziende private autorizzate dallo stato, ognuna ha le sue tecnologie, le sue regole e i suoi costi, e se per i privati molte ditte danno la possibilità di avere un servizio più o meno gratuito, le cose cambiano per aziende e professionisti che pagano un canone annuale per il servizio che può variare parecchio a seconda del fornitore.

    Per i privati, dicevamo,  con alcuni identity provider si riesce ad ottenere il servizio senza il pagamento di un canone annuo ma possono essere a pagamento le operazioni per il riconoscimento del richiedente, cioè quando all’iscrizione un loro impiegato controlla la nostra identità e la corrispondenza coi nostri documenti fisicamente o collegato in videochiamata, cosa non necessaria se abbiamo già un altro sistema di identità digitale, oppure la ricezione degli SMS per l’autenticazione di secondo livello qualora non sia disponibile una app.

    Parlavamo di altri sistemi di identità digitale, perché lo SPID non è l’unico che ci consente l’autenticazione coi servizi pubblici, anche se probabilmente è quello più diffuso, ne esistono di altri utilizzati magari in ambiti più specifici o di minore diffusione come la tessera sanitaria, la carta di identità elettronica o la firma digitale.

    Le prime due sono un’estensione dei documenti che abbiamo sempre con noi nel portafoglio, che richiedono un’abilitazione da richiedere gratuitamente rispettivamente alla regione o al comune con il rilascio di apposite credenziali per permettere la lettura del documento tramite un apposito lettore collegato al nostro computer o smartphone, mentre la terza è un sistema rilasciato generalmente a pagamento da un’autorità digitale che certifica strettamente il richiedente e permette la firma di documentazione in forma digitale.

    Quindi in definitiva lo SPID è comodo ma non è indispensabile per l’accesso ai servizi digitali pubblici che hanno un sistema alternativo, e che quindi avranno oltre al bottone ”Entra con SPID” uno simile “Entra con CIE” o  “Entra con CNS”, rispettivamente per la carta di identità elettronica che dovrà essere poggiata su un lettore NFC come quello presente su molti smartphone e confermata con la propria password , e per la tessera sanitaria – carta nazionale dei servizi , che se opportunamente abilitata, andrà inserita in un apposito lettore usb collegato al nostro computer e confermata dal nostro PIN.

    Voi eravate a conoscenza di questi sistemi? Avete qualcosa da aggiungere, dubbi o curiosità a riguardo? Scrivetele nei commenti, noi come al solito li leggeremo e vi risponderemo.

  • Leggere con gli ebook reader

    Leggere con gli ebook reader

    Oggi parliamo di ebook reader, quegli strumenti che gli appassionati di lettura probabilmente conosceranno, e che alcuni amano e molti odiano.

    Per chi non li conoscesse sono quei dispositivi per la lettura dei libri in formato digitale, una sorta di tablet specializzato per la lettura dotato di uno schermo in bianco e nero ad alto contrasto che simula la carta stampata, spesso retroilluminato che consente la lettura anche in ambienti bui, dotato di una memoria interna dove immagazzinare centinaia di libri e dotato di una batteria di lunga durata che ci permette di leggere i nostri libri per settimane, a volte anche per mesi senza doverlo ricaricare.

    Tralaltro i costi degli apparecchi non sono particolarmente esosi, gia con una sessantina di euro si possono trovare dispositivi più che validi, cosa che li rende un regalo molto appetibile per chi è solito leggere, e vista la facilità di utilizzo, buono anche per chi ha tante primavere alle spalle.

    Vengono odiati perché leggere un libro su uno schermo significa perdere la ritualità di sfogliare le pagine di un libro, di sentire l’odore della carta ma hanno anche tanti vantaggi.

    Quello più evidente sono le dimensioni, non tanto del dispositivo in se, che generalmente ha uno schermo di 6-7 pollici grossomodo simile alle dimensioni di una pagina di un libro tascabile, ma senza lo spessore e il peso di un tomo di svariate pagine, e con il vantaggio di poter portare con se, magari sull’autobus o in spiaggia tutta la nostra libreria: cosa particolarmente apprezzabile in casa dove lo spazio da dedicare ai libri è spesso esiguo.

    Se un tempo la leggibilità , specie dei modelli più economici, poteva non essere perfetta, i modelli più moderni riescono a non stancare l’occhio durante la lettura come una pagina stampata, a differenza della lettura di un libro in formato digitale dallo schermo di un tablet o di uno smartphone, che se ha il vantaggio dei colore stanca durante la lettura.

    E’ vero che alcuni tablet hanno una modalità lettura che riduce la luce blu emessa dallo schermo per cercare di mitigare il problema, ma non è la stessa cosa di uno schermo nato per la lettura prolungata. Ad onor del vero esiste qualche ebook reader con schermo a colori, ma essendo una soluzione di compromesso la leggibilità è molto più scadente rispetto ad un omologo in bianco e nero, oltre ad essere più costoso e a consumare più velocemente la batteria, forse può essere una scelta che può avere senso solo per chi intende leggere tanti fumetti a colori in formato digitale

    Un mito da sfatare però è l’economicità dei titoli: se è vero che il prezzo del dispositivo , a meno di non scegliere un dispositivo di altissima gamma, è basso diverso discorso è l’acquisto dei libri in formato digitale: spesso , soprattutto se si tratta di titoli recenti il prezzo non è molto più economico della versione cartacea, che a differenza di un file digitale una volta letta può sempre essere rivenduta o regalata, nonostante non ci siano quei costi di stampa, stoccaggio e distribuzione tipici del prodotto fisico.

    Discorso diverso per i titoli meno recenti o di autori minori, si trovano con facilità raccolte di classici a costo zero o a prezzi simbolici, cosi come la possibilità di fare degli abbonamenti per la lettura illimitata di un determinato catalogo di libri, anche se generalmente le novità o i titoli di grido difficilmente sono inclusi in questi cataloghi.

    Dato che si parla di prodotti digitali c’è da dire che esiste anche la pirateria, ma a differenza di altre tipologie di contenuti, vuoi per il minore appeal, vuoi perché nel tempo sono stati chiusi molti siti dove era possibile reperire i file piratati non è semplice procurarsi dei libri digitali piratati, soprattutto se in lingua italiana, senza avere particolari conoscenze informatiche. Magari è leggermente più semplice recuperare per via traverse dei libri in inglese, specie se hanno una certa richiesta o notorietà ma non è comunque una cosa alla portata di tutti.

    Parlando di libri in lingua straniera avere uno strumento digitale per la lettura diventa particolarmente utile dato che molti modelli di ebook reader hanno un loro vocabolario, con la possibilità di tradurre frasi e testi e di poter annotare sul file dei nostri commenti.

    Insomma si tratta di uno strumento utile e comodo, che non è detto che debba sostituire il libro cartaceo ma a seconda dei casi o delle situazione può senza dubbio affiancarlo.

  • La porta OBD: accedere all’elettronica della nostra auto

    La porta OBD: accedere all’elettronica della nostra auto

    Oggi parliamo dell’elettronica delle nostre automobili, ma senza riprendere il problema della mancanza di componenti elettronici che sta condizionando sia il mercato del nuovo che dell’usato di cui vi parlavo in passato, ma della porta OBD presente da oltre vent’anni sulle nostre automobili e che permette la diagnostica di eventuali problemi della vettura.

    E’ quel connettore nascosto spesso dietro un cassettino o  un alloggiamento nei pressi del volante tramite il quale i meccanici possono rilevare, attaccandoci un computer o un apposito strumento, errori, guasti, malfunzionamenti della vettura, cosi come poter verificare in tempo reale tutti i parametri per la diagnosi e la soluzione dei problemi sulla vettura.

    Tramite la stessa porta alcuni malintenzionati a seconda dei casi riescono pure a far partire la macchina rubata pur in assenza della chiave originale o qualche truffatore a modificare il chilometraggio della macchina per poter rivendere un’usato a un prezzo maggiorato , pertanto in alcuni casi può essere necessario proteggere o blindare il connettore per evitare comportamenti non voluti.

    Ma a cosa può servire questo connettore ad un’utente comune? Generalmente a poco, anche se può essere carino collegare l’autoradio o il telefonino alla porta diagnostica per poter visualizzare in tempo reale  sul display tutti i parametri della macchina

    Altro uso può essere per spegnere qualche spia o avviso molesto nel cruscotto o per poter visualizzare i codici errore  di qualche guasto intermittente, come il classico problema che smette di verificarsi appena abbiamo preso appuntamento con il meccanico e che si ripresenta appena allontanati dall’officina, ma che il meccanico non può riscontrare se non usando la macchina per diverso tempo. In tal caso poter comunicare un codice di errore anziché raccontare uno strano comportamento o l’accensione di una spia generica può essere parecchio utile alla risoluzione tempestiva del problema

    Ma cosa c’è bisogno per interfacciarsi alla nostra automobile tramite la porta OBD? Sicuramente la cosa migliore sarebbe avere un apparecchio diagnostico come quelli forniti dalle case automobilistiche soltanto alla propria rete ufficiale, oppure uno di quelli universali presenti nelle officine multimarca più grandi capaci di interfacciarsi con quasi tutte le macchine in commercio: il problema è che accedere a questi dispostivi servono contratti esosi di fornitura o comprare delle apparecchiature che costano più del valore della macchina stessa, tanto che spesso anche i meccanici più piccoli sono costretti a rivolgersi alla rete ufficiale o a un collega più strutturato per operazioni più complesse della norma o quando hanno a che fare con modelli di auto particolari. Per i piccoli riparatori, ma anche per gli hobbisti esistono poi dei dispositivi diagnostici più economici che non permettono magari di accedere a tutti i dati o di modificare alcuni parametri ma hanno costi ben più abbordabili si va da qualche centinaio di euro a modelli cinesi reperibili su amazon o su aliexpress che possono costare davvero pochi euro, che magari hanno funzionalità limitate o qualche incompatibilità ma possono essere d’aiuto in certe circostanze.

    Alternativamente si può collegare la porta tramite un cavo o un dongle bluetooth  dal costo di pochi euro che comunica ad un computer, un tablet o uno smartphone dove sarà installata un’applicazione o un software di diagnostica: generalmente questi software sono a  pagamento con funzionalità differenziate in base al prezzo pagato, ma che spesso possono avere una versione di prova limitata nel tempo o nella funzionalità che può essere sufficiente per curiosare un po’ tra i parametri, i messaggi di errore e magari riuscire a spegnere una spia o attivare una funzione nascosta.

    L’importante è se non si è del settore non modificare nulla se non si sa cosa si sta facendo, impostando parametri di cui non se ne capisce il funzionamento, dato che il rischio di fare danni è elevato, ma fin tanto che si legge soltanto qualche parametro e si prende nota di qualche codice di errore il rischio non si pone. Può essere uno strumento utile per farci conoscere dall’interno la nostra macchina, cosi come uno strumento essenziale per gli autoriparatori e purtroppo per alcuni malintenzionati, voi lo conoscevate? Avete in macchina un dongle OBD, avete qualche dubbio, curiosità o suggerimento, scrivetelo nei commenti.

  • Sbarazzarsi del Canone RAI 2022

    Sbarazzarsi del Canone RAI 2022

    Col nuovo anno si dovrà ripagare una tassa piuttosto antipatica, quella sul possesso degli apparecchi radio televisivi, comunemente chiamato canone Rai, e anche per quest’anno lo si dovrà pagare nella bolletta elettrica spalmato in 10 rate da 9 euro come avviene già da qualche anno, la novità è che parrebbe che a causa di una richiesta della comunità europea questo sarà, a meno di proroghe l’ultimo anno per cui lo si dovrà pagare sulla bolletta elettrica.

    Questa soluzione ha permesso di contrastare l’evasione del canone consentendo di ridurre l’importo ed evitando di doverci recare alle poste per il pagamento. Purtroppo cosa accadrà dal 2023 non è dato sapere, se il pagamento dovrà essere fatto con bollettino postale come si faceva fino al 2015 o con F24 come deve fare attualmente chi non è titolare di utenza elettrica ma è comunque tenuto a pagare il canone, ne se l’importo aumenterà e se come è stato paventato verrà richiesto di pagarlo non solo a chi ha un apparecchio televisivo in casa ma anche a chi possiede uno smartphone o un computer in quanto in grado di vedere le trasmissioni televisive tramite siti o app.

    Allo stato attuale il non possedere un apparecchio televisivo, o averne uno non più adatto alla ricezione del segnale tv perché magari non compatibile col nuovo digitale terrestre è motivo di esenzione dal canone, quindi in questi casi basterà mandare ogni anno entro il 31 gennaio per raccomandata o via pec un’apposita autodichiarazione dove si attesta di non possedere nessun apparecchio adatto alla ricezione del segnale televisivo per essere esentati dal pagamento, e nel caso è pure possibile richiedere il rimborso di cifre pagate qualora il mancato possesso, o altra causa di esenzione come per gli anziani a basso reddito o per i diplomatici stranieri, avvenisse nel corso dell’anno.

    Quello che non è più possibile invece è il suggellamento del televisore, cioè la disattivazione del televisore ad opera della guardia di finanza, che lo sigillava dentro un sacco di juta permettendo di avere l’esenzione dal canone rai senza doversi disfare dell’apparecchio.

    Ovviamente se è pur vero che sarà difficile che si venga controllati, firmare un’autodichiarazione falsa è un reato penale: il gioco non vale la pena per risparmiare 90 euro all’anno: meglio a quel punto sbarazzarsi del televisore o se proprio la si vuole fare sporca intestare l’abbonamento elettrico della nostra abitazione a un familiare che già paga il canone e che quindi non è tenuto a pagare un secondo abbonamento in quanto seconda casa. In tal caso staremo evadendo il canone, dato che in quel caso dovremmo pagarlo tramite F24, ma senza dichiarare il falso.

    Certo vista la qualità del servizio pubblico, la voglia di non pagare il canone è tanta, ma contrariamente dal nome con cui si è solito chiamarlo, è pur sempre una tassa sul possesso dell’apparecchio televisivo e non un abbonamento ad una pay tv  che possiamo disdire a piacimento e le tasse volenti o nolenti vanno pagate.

    Quello che è da sapere è che esistono dei rari casi per i quali non deve essere pagato, o per cui esistono delle eccezioni, cosi come esistono dei canoni speciali dovuti da aziende o strutture ricettive come alberghi o ristoranti che sono tenuti a pagare un canone più alto di quello pagato da un comune cittadino qualora abbiano un televisore in azienda.

    Quindi per quest’anno se ci siamo sbarazzati del televisore siamo ancora in tempo a chiedere l’esenzione, in attesa di capire cosa succederà nel 2023 quando effettivamente molti televisori a causa del nuovo digitale terrestre non saranno effettivamente più in grado di ricevere le trasmissioni, e magari se non si hanno altri tv compatibili o decoder diventerà l’occasione per sbarazzarsi definitivamente del canone.
    Voi ne eravate al corrente? Avete mandato la disdetta del canone rai? Avete qualche dubbio, curiosità o suggerimento? Scrivecelo nei commenti.

  • Come risparmiare evitando lo spreco alimentare

    Come risparmiare evitando lo spreco alimentare

    Parliamo di spreco alimentare e risparmio , due concetti che possono sembrare in antitesi ma in realtà non lo sono, infatti in un periodo dove la sostenibilità è diventata sempre più importante sono nate delle idee e delle soluzioni per evitare che il cibo inutilizzato venga buttato e alcune di queste possono diventare un modo per farci risparmiare.

    Sicuramente parlando di spreco alimentare ci viene in mente il prodotto fresco invenduto nel supermercato, nella bottega o nel panificio che se non viene venduto in fretta o comunque entro la data di scadenza viene tolto dalla vendita, per venire buttato, o nei casi più virtuosi dato in beneficenza.

    Ma per l’attività commerciale buttare o regalare dei prodotti equivale a buttare soldi , soprattutto su prodotti dove il guadagno è limitato, quindi poter recuperare almeno parte dei costi diventa essenziale. Infatti anche nei nostri supermercati , importando una tradizione dei paesi del nord europa, si vedono più spesso cestoni o bollini sconto dove i prodotti prossimi alla scadenza vengono venduti con un forte sconto, questo consente al consumatore che prevede di utilizzare quel prodotto a stretto giro di fare un bel risparmio.

    Ovviamente anche per il consumatore acquistare beni superflui che poi non consumerà porterebbe ad uno spreco alimentare, quindi è bene usufruire di queste offerte solo se si è sicuri di consumare i prodotti acquistati, allo stesso modo di quando attratti da qualche offerta speciale facciamo incetta di prodotti: se poi non li consumiamo entro la data di scadenza andranno buttati, sprecando risorse e buttando letteralmente i nostri soldi, perché se per risparmiare il 30% del prezzo , buttiamo il 50% dei prodotti acquistati non abbiamo di certo risparmiato.

    Ma se si tratta di prodotti che sappiamo di consumare, o a lunga conservazione o se si possono magari mettere in freezer, congelando anche la data di scadenza, o se la data sull’etichetta è “da consumarsi PREFERIBILMENTE entro”, cioè che quindi rimane commestibile oltre quella data, seppur perdendo qualche caratteristica organolettica, ecco che acquistare il prodotto in offerta diventa una strategia efficace anche per il nostro portafoglio.

    Tralaltro la vendita di prodotti freschi invenduti a prezzi scontati sta uscendo dal mondo dei supermercati, per arrivare anche a botteghe, bar, pasticcerie, panifici e tante attività che si ritrovano quotidianamente un surplus di prodotti che altrimenti andrebbero donati o buttati, anche grazie ad alcune app per cellulare che sono nate, guarda caso nel nord europa, che riescono a mettere in contatto i consumatori attenti al risparmio e il negoziante, grande o piccolo che sia, che ha un surplus di prodotti.

    Forse la più famosa, e soprattutto più diffusa in Italia, visto che è presente non solo nei grandi centri urbani ma anche nelle cittadine di provincia è TooGoodToGo, nome quasi impronunciabile che sta per troppo buono per essere buttato, ma ce ne sono altre magari meno diffuse come Phenix, o altre attive solo a livello locale.

    Il funzionamento è semplice, tramite una mappa sulla app si vedono le attività commerciali della zona in cui ci troviamo che offrono a fine giornata le loro box: confezioni di prodotti freschi invenduti a un prezzo fisso, molto più basso del prezzo di listino, di cui non conosciamo nel dettaglio il contenuto, che potremo prenotare ed acquistare tramite la app, per poi ritirarle all’orario indicato presso il negozio.

    All’orario stabilito, indicato sulla app, generalmente entro 15 o 30 minuti dalla chiusura, si mostrerà la app al negozio che ci fornirà la merce: a seconda del negozio o di quanto è rimasto invenduto si potrà trovare una box piu o meno ricca, ma comunque di valore non inferiore al prezzo di listino indicato.

    Spesso ad esempio nei bar o nelle pasticcerie, a fine giornata restano paste o dolci in quantità, e generalmente con il costo di una o due paste vi riuscite a portare a casa un’intero vassoio, stessa cosa accade nelle panetterie e in tutte quelle attività dove si vendono prodotti di veloce deperibilità

    Avendo pagato in anticipo se non ci presentassimo al ritiro, il costo non ci verrà rimborsato, ma anche il negoziante è obbligato a consegnarci una box almeno del valore indicato sulla app e qualora non potesse farlo, perché magari ha venduto tutto, può cancellare l’ordine entro due ore dalla consegna per darci modo di organizzarci diversamente.

    Ovviamente il sistema funziona solo se possiamo essere al negozio per il ritiro nell’orario indicato, e dato che le box a disposizione sono limitate, soprattutto per alcuni esercenti più in voga è bene prenotare la nostra box in anticipo, dato che potrebbero andare a ruba

    Tralaltro nella app esiste un sistema di feedback sui vari negozi che ci permette di capirne la serietà, la qualità e la quantità dei prodotti, anche perché acquistando a scatola chiusa, magari da un negoziante a noi sconosciuto, in presenza di furbetti potremmo trovarci prodotti di scarsa qualità, scaduti o box non consegnate, in tal caso le recensioni ci mettono in condizione di evitare un venditore sospetto, a maggior ragione se non lo conosciamo direttamente o è fuori dalla nostra zona abituale

    Si tratta di un modo moderno di coniugare risparmio e sostenibilità. Voi lo conoscevate? Scrivetelo nei commenti. A presto!

  • I robot aspirapolvere

    Avrete sicuramente sentito parlare dei robot aspirapolvere, quei robottini che riescono a spazzare via la polvere e secondo i modelli pulire i pavimenti. Sicuramente essendo una tipologia di elettrodomestico nuovo suscita curiosità e dubbi, ma vediamo di fare un punto.

    Innanzitutto la prima domanda che uno si fa è Funzionano? Puliscono davvero? Beh si, anche se molto dipende dal modello che scegliamo, perché in giro si trovano modelli un po’ farlocchi che servono a poco o che costano più di quanto valgono, quindi è essenziale fare una buona scelta per non ritrovarsi in casa un prodotto poco utile.

    Sicuramente hanno un’uso diverso da un’aspirapolvere o scopa elettrica tradizionale, sono pensate per un’uso più frequente che consente di tenere pulita la casa, lasciando il grosso all’aspirapolvere tradizionale che potrà essere usata molto più raramente, quindi non la sostituisce ma la affianca.

    Una delle caratteristiche più interessanti è che sono relativamente autonomi: possono essere impostate per eseguire la pulizia , tramite un timer, un telecomando o un’app sul cellulare e tornare da sole alla base per la ricarica, lasciando al proprietario solo l’onere di svuotare il serbatoio della polvere, anche se a dire il vero i modelli meno sofisticati tendono ad impigliarsi sui tappeti costringendo il proprietario ad intervenire,  a meno di non averli fatti sparire prima di far partire il robottino.

    Il robottino una volta partito andrà in giro per la casa ad aspirare la polvere, passando almeno in teoria anche sotto i mobili e sui tappeti, per poi tornare alla sua base una volta finito il suo lavoro o quando la batteria si sta per scaricare.

    Vediamo come sono fatti, abbiamo un apparecchio di forma piu o meno tondeggiante, che integra al suo interno una batteria ricaricabile come quella dei cellulari, un motore per l’aspirazione come un’aspirapolvere tradizionale collegato ad una o più spazzole rotanti che convogliano lo sporco sulla bocchetta di aspirazione, e delle ruote che le consentono di muoversi. In aggiunta a questo abbiamo una base dove l’apparecchio andrà ricaricato, e ovviamente il serbatoio dove si deposita la polvere risucchiata, e dei sensori che aiutano l’apparecchio ad evitare ostacoli o a ribaltarsi.

    Una delle prime cose da verificare è il potere aspirante, quelle molto economiche tendono ad avere una potenza appena sufficiente a risucchiare la polvere, cosa che in presenza di animali in casa o di pulizie poco frequenti possono portare ad un risultato poco soddisfacente con polvere e briciole che non verranno aspirate completamente. Inoltre è bene che l’aspirapolvere abbia anche il filtro HEPA per le polveri più sottili , che ci consente una migliore pulizia e sanificazione degli ambienti.

    Altra cosa da tenere a mente in fase di scelta sono le dimensioni: quelle più grandi e soprattutto più alte possono avere problemi ad infilarsi sotto i mobili rispetto a una più bassa, per contro se è piu alta probabilmente avrà un serbatoio più grande e magari una batteria più grande che le consente una maggiore autonomia, riuscendo a pulire la casa in una sola passata senza doversi ricaricare, cosa molto utile se la facciamo partire quando non siamo in casa o se abbiamo una casa non piccolissima.

    Tralaltro alcune di quelle più alte possono avere delle funzioni utili come il modulo lavapavimenti, che consente di sostituire il serbatoio dello sporco con uno di acqua insaponata e un panno, col quale lavare i pavimenti  oppure una torretta contenente dei sensori o delle telecamere per mappare la casa che consentono all’apparecchio di non ripassare dove è gia passato, velocizzando la pulizia, evitando pericoli ed eventuali zone dove non vogliamo che l’apparecchio passi, senza dover chiudere porte o acquistare dei muri virtuali, non sempre disponibili per tutti gli apparecchi.

    Generalmente queste funzioni di mappatura, cosi come le app per gestire al meglio le funzionalita da remoto o i sistemi di movimento intelligenti sono caratteristiche dei modelli più performanti , e spesso esclusive di determinati marchi, quindi anche scegliere il produttore giusto ha il suo peso e non solo per la garanzia, ma soprattutto per la diponibilità eventuali accessori e ricambi, come le spazzole , i filtri o i panni per l’eventuale modulo lavapavimenti: il modello sconosciuto cinese venduto a un prezzaccio nonostante sembri sulla carta un’affarone potrebbe diventare presto un ferma carte se non si trovano gli accessori.

    E pertanto è bene capire bene cosa stiamo comprando magari consultando delle recensioni, per scoprire eventuali difetti, come allergia a certi tipi di tappeti , app che impazziscono, ricambi introvabili, rumorosità, autonomia limitata, funzione di ritorno in carica non funzionante etc., che potrebbero evitarci di fare un’acquisto sbagliato. Voi ne avete gia una in casa? La usate regolarmente? Fatecelo sapere nei commenti, cosi come se avete qualche dubbio o curiosita e come al solito vi risponderemo.

  • Come funziona la app Immuni per il tracciamento del coronavirus: pericolo o flop?

    Avrete sicuramente sentito parlare della app “Immuni” nata per tracciare gli spostamenti delle persone per arginare la diffusione del coronavirus, vediamo di capire di cosa si tratta, di come funziona, perché usarla, se usarla e perché no.

    Il tema è controverso perché a seconda di come verrà realizzata rischia di avere grossi problemi di privacy, di averne di etici o di essere poco più che inutile.

    Un grande scoglio è capire se effettivamente il programma sarà open source, quindi a “codice aperto” o meno, e attenzione non facciamoci ingannare dal fatto che open source sia comunemente considerato quasi un sinonimo di gratis, se sembra che a quanto pare lo sviluppatore realizzerà la app senza costi per lo stato non è detto che rilasci pubblicamente il codice sorgente e questo significa che non potremmo controllare cosa effettivamente faccia l’applicazione e che uso faccia dei nostri dati, e visto che lo sviluppatore non si è fatto pagare coi soldi potrebbe essere remunerato coi nostri preziosi dati .

    E se questo normalmente è un problema relativo per un’azienda privata che nella peggiore delle ipotesi userà i nostri dati per profilarci e quindi mandarci della pubblicità personalizzata in base ai nostri gusti, spostamenti, etc. come i fanno social network, i motori di ricerca o le applicazioni più o meno stupide che installiamo nei nostri smartphone, il problema si fa importante quando i nostri dati riservati vanno in mano ad un governo, con risvolti etici preoccupanti.

    Infatti una app che traccia gli spostamenti o comunque la compresenza di due persone, qualora si volesse farne un’uso malizioso potrebbe servire a rintracciare una persona da controllare, attraverso i collegamenti che ha avuto con le persone che ha incontrato che magari potrebbero venire minacciate per arrivare al target oppure esaminando le interazioni tra il soggetto target e le persone che incontra si potrebbero  scovare gli appartenenti ad una certa organizzazione, magari antagonista politica del governo.

    Fantascientifico? No, tecnicamente è fattibile, ed è sicuramente un qualcosa che farebbe molto comodo ad un regime dittatoriale, che magari sfruttando l’emergenza del virus potrebbe teoricamente instaurarsi . Ragioniamo per assurdo: le privazioni della libertà dei cittadini dovute al lock-down , il fatto di avere un presidente del consiglio solo al comando che bypassa il governo con i suoi decreti, silenzia o attacca le opposizioni ed ha i controllo dei media potrebbe essere il prologo di un regime di dittatura: quindi il rischio dell’uso scorretto dei nostri dati esiste ed è bene evitare che ci possano essere gli strumenti per mettere in pratica certe idee poco liberali. So bene che è un’esagerazione, ma non possiamo sapere cosa ci riserva il futuro.

    Ma come funzionerà questa applicazione? Tramite il bluetooth del telefono l’applicazione annuncerà ai telefoni nelle vicinanze che avranno installato anche loro la app un proprio identificativo, di modo che se un domani quell’utente scopre di essere infetto, tutte le persone che sono venute a contatto con lui possano essere avvisate del pericolo e possano farsi controllare. Il grande problema però è come avvisare l’utente che è venuto a contatto con l’infetto.

    Infatti se esiste un server centrale col quale tutti i telefoni comunicano e che si occuperà di notificare l’avviso  ai potenziali infettati , dobbiamo fidarci ciecamente di chi gestisce questo server sia esso una società privata o peggio lo stato, e visti i precedenti come i recenti problemi di sicurezza del server dell’INPS o dell’analoga applicazione COVID olandese immediatamente bucata dagli hacker, non si può stare tranquilli, specie se c’è di mezzo lo stato.

    In realtà la soluzione esiste ed è fare in modo tramite la crittografia che anche se il server centrale fosse attaccato i dati siano inservibili, questo prevede però l’utilizzo di un protocollo ben preciso creato in funzione della nostra privacy, la domanda che dobbiamo farci quindi è se la app rispetta o no un tale tipo di protocollo. Ed è qui che torniamo al discorso open source, se il codice è libero qualcuno che ne ha le capacità può prendersi la briga di controllare il codice della app e verificarlo, se il codice non è libero l’unica cosa che possiamo fare è fidarci.

    Ma ammettiamo anche che si usino tutti i protocolli necessari, la app ha senso di esistere solo se la maggioranza dei cittadini, ipotizziamo il 70% , ha installato la app nel proprio cellulare, ma tanta gente non ha uno smartphone : attualmente in Italia ne possiede uno solo il 66% della popolazione, ma di queste persone tante non hanno la capacità di installarsi la app in autonomia, pensiamo agli anziani ma anche a chi è poco avvezzo alla tecnologia, o hanno un telefono vecchio, non compatibile, senza più memoria libera che quindi non può o che non vuole installarla , perché ha dubbi sulla privacy, perché è un complottista, perché usa un telefono aziendale e non è autorizzato, perchè non è interessato, non è informato o per chissà quali motivi: quindi è verosimile pensare che questa app si riveli poco utile perché installata da poca gente, cosa prevedibile se guardiamo fuori dai nostri confini : ad esempio ad Hong Kong dove un sistema simile è in funzione da tempo le stime dicono  che la app è installata solo dal 12% della popolazione.

    Un altro dubbio è su come si viene dichiarati infetti per la app: saranno i medici a cambiare il nostro status? Ma se si questo presuppone che si debbano fare campioni a tappeto altrimenti tutti gli utenti saranno considerati sani per la app. Sarà l’utente a dovere cambiare il proprio status quando riscontra in autonomia i sintomi auto-diagnosticandosi la malattia? Se si potremmo trovare il “buontempone”, per non usare altri termini, che si dichiara infetto per creare falsi allarmi a tutte le persone con cui è venuto in contatto oppure quello che invece si è ammalato ma non lo dichiara per il rischio di dover rimanere a casa e non poter magari andare a lavoro.

    Insomma alla fine della fiera il rischio è che l’applicazione potrebbe essere pericolosa o nel migliore dei casi inutile, e conoscendo come vanno le cose in Italia non è che si possa dormire sogni tanto tranquilli. Dall’altra parte della bilancia un’uso massiccio della applicazione ha il vantaggio di informare chi è stato a contatto con un infetto e di potersi mettere in condizione di non infettare altre persone e quindi far diminuire la diffusione del virus.

    Fortunatamente qualcuna di queste critiche è arrivata alle orecchie di chi ha commissionato l’applicazione e dalle prime indiscrezioni pare che a differenza di quello che si sapeva in un primo momento la situazione si stia evolvendo giorno per giorno e pare si stia andando sulla direzione giusta, utilizzando il protocollo apposito sviluppato congiuntamente da Apple e Google secondo i principi del privacy by design, che dovrebbe limitare di molto i rischi per la sicurezza e sopratutto la privacy dei nostri dati, al costo di una maggiore complessità e di qualche funzionalità in meno rispetto all’idea iniziale, ma permettendoci di stare più tranquilli.

    Voi cosa ne pensate? Installerete la app Immuni o ne farete a meno fin quando sarà possibile? Fatecelo sapere nei commenti.